Capitolo 3

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«Allora, come stavo dicendo il mio corso avrà un peso notevole sul punteggio del vostro esame finale, perciò mi aspetto da voi la massima responsabilità e serietà», spiega il professor Wilson a tutti noi durante il suo soliloquio, scrutando l'ammasso di studenti di fronte a sé -tutti troppo annoiati o ancora troppo presi dalle vacanze estive per prestargli ascolto sul serio. Eccetto me; io non ho alcun ricordo positivo dell'estate da rammentare con nostalgia ed, anzi, mi appunto tutto ciò che dice; voglio essere preparata a quello che mi attenderà nei prossimi mesi. «Chi si è iscritto pensando di non fare niente e ottenere crediti facilmente ha fatto un grosso errore», dice l'uomo rivolgendo uno sguardo severo al mio, per sfortuna, vicino di banco. L'impressione che ho subito è che la sua sia una non tanto velata frecciatina nei confronti del ragazzo e sono sollevata che abbia, in qualche modo, demolito le sue false speranze per prendere un diploma facile. Chissà, magari questa notizia lo scoraggerà a voler proseguire il corso, anche se, a dirla tutta, non mi sembra affatto preoccupato. Difatti il diretto interessato mette le mani avanti con finta ingenuità. «Non guardi me, io sono qui per le ragazze, quelle del suo corso sono davvero carine», afferma ammiccando, poi, squallidamente verso una biondina seduta qualche fila di banchi alla nostra sinistra.

Adesso vomito davvero.

L'insegnante sospira esasperato poggiandosi alla cattedra dietro di lui. «È bello averti qua Bieber...» commenta in modo sarcastico lasciando la frase a metà, «... Anche quest'anno», sottolinea successivamente; immagino sia abituato ai discorsi fuori luogo del ragazzo, ecco perché non mi è parso affatto turbato dalla sua precedente affermazione. Mi chiedo da quanti anni ripeta il corso e quante di queste sue squallide battute sarò costretta ad ascoltare ad ogni lezione. Che razza di maiale.

Il biondo sorride divertito, poggiando i gomiti sul banco e scrollando le spalle. «Sono un suo studente affezionato».

I due vanno avanti con questo botta e risposta che nessuno ha richiesto per un po', interrompendosi solo quando qualcuno bussa alla porta ed una donna minuta e con gli occhiali entra nell'aula. La riconosco quasi immediatamente: è la gentile segretaria che mi ha dato i moduli d'iscrizione questa mattina. Porge un biglietto nelle mani del signor Wilson prima di avvicinarsi al suo orecchio e sussurrargli qualcosa.

L'uomo osserva attentamente il pezzo di carta tra le sue mani. «Anderson?». Sobbalzo sentendo il mio cognome, ridestandomi dal mio stato di trance momentaneo; avevo approfittato della breve interruzione per eclissarmi nel mio mondo, come mi capita sempre più frequentemente.
«Ehm, sì?» mormoro schiarendomi la voce.
L'uomo si posiziona meglio gli occhiali sul naso per scrutarmi, dal momento che, essendo nuova, probabilmente non ha ancora la minima idea di chi io sia. «La attendono in presidenza», mi comunica con tono calmo e pacato.

Rabbrividisco. Io? In presidenza? A fare cosa?

«Uh, qualcuno è nei guai», commenta il ragazzo accanto a me sfregandosi le mani in maniera piuttosto inquietante.

Ignoralo Cassie, non dargli ascolto, ripete la voce nella mia testa.

E comunque, per quale motivo potrei mai essere nei guai?

***

Non avrei mai immaginato che l'ufficio di un preside potesse essere così grande: pareti tappezzate da titoli di laurea e riconoscimenti vari, per non parlare dei trofei delle più variegate discipline sportive o non racchiusi in una bacheca, a simboleggiare i numerosi meriti riconosciuti all'istituto nel corso degli anni.

Il silenzio regna nella stanza, scandito solo dalle lancette del grande orologio affisso sul muro.

Cerco di concentrami su qualsiasi cosa che non sia il volto del dirigente scolastico di fronte a me fino a quando il mio sguardo non ricade su una fotografia posta sopra l'enorme scrivania di legno, dietro alla quale si staglia la sua figura: un bambino, suo figlio, presumo, che abbraccia calorosamente un cucciolo di pastore tedesco. Che tenero quadretto.

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