Capitolo 41

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Ancora intontita dal bacio e dalle parole di Justin sussurrate al mio orecchio, vedo Aaron proprio di fronte a me e dall'espressione dipinta sul suo volto non ho bisogno di un genio per capire che ha appena assistito all'intera scena.

Una parte di me vorrebbe attraversare il corridoio nella direzione che poco fa ha preso il biondo e strozzarlo una volta raggiunto, perché sono certa che si fosse accorto dell'arrivo di Aaron e ancor più certa che mi abbia baciata non tanto perché volesse farlo quanto per sbatterlo in faccia a lui; cosa che trovo piuttosto infantile. Non deve dimostrare niente a nessuno, tantomeno ad Aaron, il quale, nonostante tutto, è pur sempre un mio amico.

Ma, invece, resto immobile di fronte al ragazzo dagli occhi di ghiaccio che si avvicina a me.

«Dunque le cose stanno così», constata, le braccia incrociate, «Tu mi lasci come un deficiente a casa tua per correre da lui e riparare ai suoi casini e poi fai... Questo?!» gesticola riferendosi al bacio di poco fa è mi guarda negli occhi incredulo, «Beh, congratulazioni», dice, infine, con non tanta velata ironia.

Francamente, non mi sarei aspettata una reazione diversa da parte sua, ma avrei preferito di gran lunga che non lo avesse scoperto in questo modo, avrei preferito parlargliene in privato e con delicatezza, soprattutto  in virtù dei sentimenti che lui dice di provare nei miei confronti.

Però, per quanto mi piacerebbe avere una macchina del tempo capace di riportarmi indietro di cinque minuti per impedire, così, che le labbra di Justin si posino sulle mie davanti ai suoi occhi, non mi è possibile; perciò avanzo anche io verso di lui, con l'intenzione di affrontarlo nel migliore dei modi.

«Lo sapevi», gli rispondo, «Sapevi quello che provavo per lui ancor prima che lo sapessi io», spiego rivelando una verità di cui entrambi eravamo a conoscenza da un pezzo, seppur ci ostinavamo a nasconderla, «Lo hai sempre saputo».

Il moro sospira, «Sì, ma cercavo di fingere di non saperlo!» sbotta esasperato. Immediatamente, alcuni studenti che ci passano accanto, chiaramente incuriositi dalla nostra discussione in mezzo al corridoio e dal tono che Aaron ha appena usato, si girano di scatto nella nostra direzione; a quanto pare, in questo liceo nessuno conosce il detto "chi si fa gli affari suoi campa cent'anni". Quando, finalmente, la loro attenzione torna a concentrarsi su quello che stavano facendo precedentemente, Aaron prende nuovamente parola, «Non credevo che saresti caduta così in basso».

Comprendo il suo stato d'animo, tuttavia le sue parole mi feriscono, come se l'essermi innamorata di Justin fosse qualcosa di dannatamente sbagliato, un crimine, quasi.

E so che, in fondo, questo è ciò che pensano tutti, -compreso Justin-, e so anche che non mi importa dei pregiudizi della gente, però è diverso quando a parlare è una persona a cui tieni.

Cerco di mandare giù il groppo che ho in gola e mostrarmi risoluta, «Senti, so che sei ferito...»,inizio a parlare, ma vengo subito interrotta da lui, «Il modo in cui mi sento io è niente paragonato al modo in cui ti farà sentire lui quando ti lascerà», sputa con acidità, marcando quel "quando", come se fosse una cosa certa ed inevitabile, un po' come la morte o lo scioglimento dei ghiacciai. E proprio mentre tento di elaborare quella frase, ecco che parla ancora:

«Perché sai che succederà, no? Ed anche presto, ma io non sarò lì per te quel giorno».

Mi fa male sentirlo parlare in questo modo, perché, nonostante tutto, siamo amici ed io ci sarei per lui se fossi al posto suo, se avesse bisogno di me. Ma evidentemente sono io a pretendere troppo dalle persone. Viste l'esperienze passate dovrei aver imparato a non fare troppo affidamento sugli altri, a non aspettarmi mai niente, però, a quanto pare, non è così.

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