Capitolo 33

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«Non potresti entrare dalla porta come tutte le persone normali?» domando perplessa tirando le tende in modo tale da impedire la visuale ad occhi indiscreti, come quelli della signora Lane, la pettegola del quartiere; quanti inconvenienti mi sarei potuta risparmiare fin da piccola se non fosse stato per lei.

Justin sorride e «Bambolina, credevo avessimo appurato che io non sono una persona normale».

Non rispondo, replicare non servirebbe, non quando, per una volta, dice una cosa sensata. Anzi, scuoto la testa pensando a quanto sia stata sciocca a porgli quella domanda.

Il ragazzo avanza verso di me, ancora vicino alla finestra e solo adesso, da questa angolazione, la luce fioca della luna che illumina i suoi lineamenti perfetti fa in modo che la mia attenzione si sposti poco sopra il suo sopracciglio destro, «Che hai fatto al viso?», lo sfioro facendo attenzione a non toccare il punto critico e ignorando le farfalle nello stomaco che la vicinanza a lui, inevitabilmente, mi provoca; sensazione a cui non credo mi abituerò mai, «No, aspetta, non dirmelo, non voglio saperlo», mormoro in seguito.

«È solo un graffietto», mi assicura col sorriso sulle labbra. Che c'è? La mia apprensione lo diverte?

«Potrebbe fare infezione», osservo accigliata, «Vieni in bagno». Gli afferro una mano e faccio per trascinarlo fuori dalla stanza ma «Ha l'aria di essere una proposta sconcia», dice lui ed ecco che il sorriso di poco prima si trasforma in un ghigno malizioso e provocatorio.

«Idiota!» esclamo dandogli un colpo sulla spalla, mossa che lo induce a sollevare il braccio e massaggiarsi il punto dolorante, «C'è un kit di primo soccorso nel mobile».

Senza aspettare una sua qualche risposta o protesta giro i tacchi dirigendomi verso il bagno, però sorrido di sottecchi quando sento i suoi passi dietro di me nel corridoio.

Almeno mi ha dato ascolto.

Una volta entrati nel piccolo ambiente, Justin si siede sul bordo della vasca- sotto mio ordine -mentre io rovisto nell'armadietto in cerca della valigetta rossa.

Con un padre poliziotto ed un fratello combina guai non si è mai troppo prudenti, per questo abbiamo ritenuto saggio tenere cerotti, fasce e quant'altro sia in questo che nel bagno al piano di sotto.

Dopo aver trovato la piccola scatola di metallo, apro l'oggetto in questione poggiandolo ai piedi di Justin, sul pavimento in marmo. «Sei fortunato che sia sola in casa, se mio padre fosse qui probabilmente ti sparerebbe».

Oh sì, ne sarebbe capace.

Il biondo fa spallucce, «Correrei il rischio», risponde con una tranquillità tale da disarmarmi.

Resto un attimo come inebetita e mi mordo l'interno guancia rendendomi conto di star osservando le sue labbra carnose con, forse, un po' troppa insistenza, cosa di cui spero non si sia accorto. Allora sussulto, cercando di riscuotermi e placare le scintille scoppiettanti nel mio petto.

Prendo il disinfettante ed il cotone, «Potrebbe bruciarti un po'», lo avviso.

Justin rotea gli occhi, «Oh, andiamo...», bofonchia spavaldo prima che prema sulla sua ferita, gesto che lo fa immediatamente sussultare. «Cazzo, cazzo, cazzo!» impreca, la voce più alta di un'ottava.

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