Capitolo 50

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<<Aaron?>> per poco non mi strozzo quando incrocio i suoi occhi azzurro ghiaccio incontrano i miei. <<Cosa ci fai qui?>> indago ignorando deliberatamente la sua proposta.
Lui si stringe nelle spalle che solo adesso noto siano coperte da una giacca scura la quale, non posso negarlo, gli sta d'incanto. <<Mio padre e Jason si conoscono da anni>> si limita a dire. In effetti, ora che ci penso, la cosa ha senso; Aaron e Justin erano amici da bambini e, nonostante loro non siano più in buoni rapporti non vuol dire che la cosa valga pure per le loro famiglie. Andrew e Silvia, i genitori di Aaron sono due persone squisite e Jason è pur sempre lo zio, nonché tutore legale, di Justin, ed è anche l'unica famiglia che lui abbia al momento.

Mentre faccio questo ragionamento qualcuno, alle spalle di Aaron, tossisce rumorosamente come se stesse cercando di attirare l'attenzione e non c'è bisogno che mi chieda chi sia la persona in questione.

<<Scusami?>> fa un Justin visibilmente accigliato.
A quel punto, il moro è costretto a voltarsi e <<Bieber, non credevo di vederti qui>> afferma in tutta risposta, sembrando proprio sorpreso.
Justin alza un sopracciglio e <<È la festa di mio zio, Evans, era ovvio che mi avresti visto>> osserva sarcasticamente. Non si sfiorano, né si dicono altro ma le occhiate che si lanciano sono inequivocabili, al punto tale che se potessero incenerire le persone con un solo sguardo, a quest'ora, di loro non sarebbe rimasta altro che polvere.

Quando il biondo fa un passo avanti, senza smettere di fissarlo in maniera truce, ho davvero il timore che possa mollargli un cazzotto, ma, per fortuna, sono costretta a ricredermi non appena i suoi occhi saettano nella mia direzione porgendomi la mano, esattamente come ha fatto l'altro poco fa. <<Ora, se vuoi scusarmi vorrei invitare la mia ragazza a ballare>> gli dice con tono calmo e garbato. In un contesto diverso mi tremerebbero le gambe nel sentirlo riferirsi a me con quell'appellativo, tuttavia conosco piuttosto bene Justin e so che il suo è solo un modo più educato per marcare il suo territorio, il quale, in questo caso, sarei io; l'espressione basita sulla faccia di Aaron nel sentire quelle parole ne è la conferma. Sembra quasi che la loro sia una competizione per decretare il maschio alfa ed io detesto le competizioni. Soprattutto se gareggiano per ricevere le mie attenzioni.

La parte più orgogliosa di me mi dice di lasciar perdere entrambi, lasciando, così, che risolvano le loro divergenze o che si sbranino tra di loro come meglio credano, ma decido di non darle ascolto e seguire solo l'istinto che -a differenza di prima, con Aaron- mi suggerisce di afferrare la mano di Justin, proprio sotto gli occhi vigili del moro al quale porgo un'espressione mortificata. Non voglio che si senta offeso da me in qualche modo, ma è anche vero che non posso ignorare quello che sento ed in questo momento sento di voler seguire Justin.

Le mie dita si intrecciano alle sue e mi fa strada verso il centro della sala. <<Sei bellissima>> mi sussurra, poi, all'orecchio, avvolgendo un suo braccio intorno alla mia vita sottile. Il suo respiro caldo accarezza la mia pelle nuda ed i brividi iniziano ad attraversarmi la spina dorsale. Le mie guance vanno a fuoco, ma cerco di fare l'indifferente. <<Beh, nemmeno tu sei male>> gli dico ed ecco che una semplice, pura e limpida risata esce dalle sue labbra.

Altro che "non male" è proprio un dio greco, interviene la mia voce interiore alla quale non posso dare torto; più lo osservo e più rimango incantata da come stia divinamente, però lui avrebbe il potere di stare bene anche con uno straccio addosso. Accidenti.

Non appena raggiungiamo il centro di quella che è la pista da ballo e lui si ferma davanti a me realizzo ciò che sta per succedere ed ho un attimo di titubanza; l'ultima -ed anche l'unica- volta che ho ballato con Justin, al Darkness, non ho fatto altro che pestargli i piedi e non vorrei finire col ripetere la storia o, peggio, finire col cadere a causa dei tacchi improponibili che non vedo l'ora di poter togliere. Lui, però, ignaro della mia preoccupazione di finire con la faccia sul pavimento, mi attira a sé, in un attimo mi ritrovo faccia a faccia col suo petto e le sue mani si posano all'altezza dei miei fianchi. Allora incrocio le mie intorno al suo collo ed alzo lo sguardo verso il suo viso attraversato, adesso, da un'espressione che non riesco a decifrare. <<Non credevo che saresti venuta>> mi confessa, il tono basso, quasi cupo.
Iniziamo ad ondeggiare, prima a destra e poi a sinistra. Coraggio Cassie, non è difficile.
<<Nemmeno io...>> ammetto in un sospiro, portando, poi, con delicatezza una mano sulla sua guancia, accarezzandola. <<Ma adesso sono qui>> sorrido, senza interrompere il contatto visivo.

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