Capitolo 8

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«Stai bene?» domanda il biondo ed io, in risposta, gli faccio un cenno con la testa, incapace di proferire parola e, soprattuto di valutare come stia sul serio.

Prima che il mio cervello possa formulare qualsiasi frase o ragionamento di senso compiuto, Justin mi rivolge un'ultima occhiata del tutto indecifrabile, un guizzo attraversa la sua mascella tesa come non mai. D'un tratto supera la mia figura e si allontana in mezzo alla folla. Non oso davvero immaginare cosa sarebbe potuto succedere se non ci fosse stato lui, ciò non toglie che il suo comportamento sia piuttosto bizzarro e che lui sia piuttosto bizzarro. Ma ecco che i miei pensieri volgono ad un altro ragazzo dalle tante stranezze: dove diavolo è finito Tyler?

Scuoto la testa, ancora scossa da quello che sarebbe potuto o non sarebbe potuto succedere. Faccio un bel respiro e mi immergo in mezzo a quella accozzaglia di adolescenti ubriachi alla disperata ricerca del mio adorato fratello, quando vado ad urtare involontariamente una persona.

«Oh, scusa! Non volevo...» inizio a parlare, estremamente mortificata. Spero vivamente che la mia vittima non avesse una bibita in mano che possa essersi rovesciata nell'urto, ma non riesco a terminare la frase che mi ritrovo piacevolmente stupita dalla figura davanti a me. «... Aaron?!» domando stupita, i suoi perfetti lineamenti resi appena riconoscibili dalle luci a intermittenza della sala. Noto, però, che indossa una camicia blu scuro, la quale risalta maggiormente il colore dei suoi occhi.
«Cassie! Che ci fai qui?» esclama il ragazzo col mio stesso stupore.
«Stavo per farti la stessa domanda», rispondo sorridendo divertita. È bello vedere in mezzo a questi scimpanzé una faccia amichevole.
Lui si gratta la nuca. «Oh, Danny si è appena lasciato con la ragazza, così io e gli altri abbiamo pensato che una serata fuori potesse risollevargli il morale», spiega con un sorriso amaro sul volto.
«Oh, capisco...», mormoro, annuendo. Mi dispiace per Danny, non lo conosco bene, ma sembra un bravo ragazzo; spero che la sua non fosse una storia troppo importante.
«La tua scusa qual è?» Indaga, successivamente. È così evidente che non sia venuta qui di mia spontanea volontà? Probabilmente sì.

Ci guardiamo e «Tyler», diciamo all'unisono per poi scoppiare a ridere entrambi per la strana sintonia venutasi a creare, «Sono venuta a prenderlo, ma a quanto pare non sembra avere intenzione di seguirmi. Stavo pensando di sedarlo, però procurarsi un sonnifero per cavalli impazziti a quest'ora è un problema», gli spiego io con un filo di ironia.

Magari posso trovare qualcosa di utile tra l'attrezzatura di papà. Avrei dovuto pensarci prima. Dannazione.

«Un solo cenno e non ci metto nulla a caricarlo in auto come un sacco di patate», afferma il mio amico; spalanco gli occhi a quella sua, seppur ironica, affermazione, così insolita se detta da Aaron anche solo per scherzo: proprio non ce lo vedo a usare la violenza con qualcuno, nonostante la forza, visto il suo corpo atletico e palestrato, non gli manchi.

Eppure Justin sembra turbare perfino la quiete che caratterizza una persona tranquilla come lui e continuo a domandarmi quale sia il motivo, ma, per il momento, di rimandare i miei interrogativi ad un'altra volta.

«Dicevo per dire, sempre se vuoi...», si schiarisce la voce e cerca di giustificarsi, leggermente imbarazzato.
«Non tentarmi», rispondo e per un secondo giuro che l'idea mi sfiora la mente, ma subito una nuova lampadina si accende nella mia testa. «Piuttosto, non è che potresti... Accompagnarlo tu a casa?» domando, cominciando a dondolarmi sui talloni con l'aria più innocente possibile.
Si indica stupito, «Io?»
Annuisco in risposta spiegando: «Non mi fido dei suoi amici e a quanto pare come sorella autoritaria sono un fiasco...» non posso fare a meno di borbottare sull'ultima affermazione, guardando un punto indefinito della sala, prima di tornare a focalizzarmi sui suoi pozzi blu. Mi mordo il labbro e «Per favore, Aaron, sarò più tranquilla nel sapere che è con te», dico con tutta sincerità. Il ragazzo mi guarda attentamente e poi «D'accordo, ma cosa ti fa pensare che possa darmi ascolto?» domanda.
Sorrido per la sua ingenuità. «Sei il capitano della squadra di football, hai sicuramente più possibilità di me per farti ascoltare», rispondo come se stessi dicendo la cosa più ovvia del mondo.

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