Capitolo 55

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Dire a mio padre di non essere stata presa al college dei miei -o forse dovrei dire suoi- sogni non si è rivelata un'impresa tanto facile: avevo paura che me ne dicesse contro di tutti i colori, che mi dicesse di essere profondamente deluso da me. Ma poi mi sono ricordata che lui non è come mia madre; si è alzato dalla poltrona sulla quale era seduto ed è venuto ad abbracciarmi, assicurandomi che ci sono tanti altri college che non vedranno l'ora di avermi come matricola, questo autunno. Ho pensato che potrei abituarmi a tutti questi abbracci padre-figlia che ultimamente sono più frequenti di quanto lo siano mai stati. Abbiamo imparato a comunicare negli ultimi mesi e con noi anche Tyler ha imparato ed adesso, finalmente, posso affermare di aver riavuto indietro la mia famiglia. Certo, non siamo perfetti: litighiamo ancora e ci sono cose che preferisco non dirgli e tenere solo per me, come qualsiasi adolescente, ma sono contenta degli enormi passi che abbiamo fatto tutti quanti da quel giorno in aeroporto.

Ho anche pensato molto alle parole di Xavier e, nonostante avessi detto che ero stanca della situazione tra me e Justin e ripromesso a me stessa che non lo avrei più cercato, non posso fare a meno di aggrapparmi con tutte le forze e le speranze a quel "Ritornerà" dell'ispanico. Probabilmente risulterò patetica, ma io lo aspetto e continuerò ad aspettarlo. È tutto ciò che mi rimane, sperare.

Non rivolgo la parola ad Aaron il lunedì a lezione di matematica. Così come non gliela rivolgo il martedì quando mi aspetta fuori dal laboratorio di scienze. Il mercoledì preferisco pranzare in mezzo alla polvere della biblioteca per non rischiare di incontrarlo nella mensa. Il giovedì ha la faccia tosta di presentarsi a casa mia ricevendo solo una porta sbattuta in faccia.

Sono incazzata. Incazzata e delusa. Certo, sarei una stupida a dire che lui e Justin andassero d'amore e d'accordo, ma credevo che Aaron fosse un ragazzo con un'integrità, con dei valori. A quanto pare mi sbagliavo.
Ciò che ha fatto, mettendo della droga nell'armadietto di Justin per farlo espellere, è stato di una meschinità e di una vigliaccheria pura. Avrei dovuto capire prima, quando mi aveva strattonato la prima volta provocandomi un livido sul polso, che tipo fosse: dietro quel sorriso angelico, dietro la camicia immacolata e i modi da gentiluomo non vi è alcun cavaliere dalla lucente armatura; è vuoto, freddo. E sono più che propensa a non parlargli mai più -a meno che non voglia riceverne altri, dei miei schiaffi-, non ho bisogno di persone tanto infime nella mia vita.

Il venerdì sono quasi certa che si sia finalmente arreso e che non proverà a placcarmi nuovamente, ma solo al termine delle lezioni posso esserne sicura.

Una volta giunta in prossimità del parcheggio, cerco le chiavi della macchina all'interno del pozzo senza fondo che è il mio zaino. Recupero un sacco di oggetti che non mi servono a niente in questo momento prima di trovarle, ma non faccio in tempo ad esultare per il loro ritrovamento che una voce giunge alle mie orecchie.

<<Cassie, possiamo parlare?>> Alzo gli occhi rivolgendo un'occhiata carica di disprezzo alla persona di fronte a me.

A quanto pare non ha recepito il messaggio.

Non ho alcuna intenzione di stare a sentire le sue giustificazioni, niente potrà rimediare a quello che ha fatto, perciò, senza nemmeno degnarlo di una risposta lo sorpasso per dirigermi verso l'auto.
Lui mi afferra con violenza, esattamente come fece al campo da football tempo fa ed io, però, grazie alla rabbia che mi esplode in petto, con uno scatto fulmineo riesco a liberarmi dalla sua presa.
<<Ti ho detto di lasciarmi stare, Aaron>> borbotto accigliata, sia per la sua insistenza che per come ha osato afferrarmi.
Aaron si passa una mano tra i capelli scuri, sembra davvero provato, ma non ho intenzioni di lasciarmi abbindolare ancora. Sospira. <<Che posso fare per sistemare le cose?>>
Una risata secca, priva di sentimento lascia la mia bocca. <<Non puoi fare niente, è questo il punto. Hai mentito a tutti e incastrato una persona innocente per qualcosa che non ha fatto. Dio, faccio fatica anche solo a guardarti.>> Le mie parole sono fredde e pungenti. A quel punto faccio un passo verso di lui, le braccia incrociate sul petto per assumere una posizione più severa e convincente. <<Se vuoi avere anche solo una possibilità che io torni a rispettarti devi dire al preside la verità.>>
<<Perderò la mia borsa di studio così>> si lamenta. Il suo sguardo incrocia il mio e noto un briciolo di pentimento in quei pozzi blu, come si stesse rendendo conto solo ora delle sue azioni e delle loro conseguenze. Vacillo e, per un momento, mi ritrovo a compatirlo, ma poi ricordo a me stessa come abbia rovinato il futuro del ragazzo che amo e allora divento dura come la roccia, il mio sguardo non transige. <<Avresti dovuto pensarci prima.>>

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