Capitolo 27

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Quattro settimane è il periodo di punizione che io e mio padre abbiamo pattuito dopo un'animata discussione: lui, inizialmente, ha proposto di segregarmi fino al giorno del mio matrimonio, ma io gli ho fatto notare che se mi avesse impedito di uscire per tutto quel tempo trovare un uomo per sposarmi sarebbe stato difficile.

Così, adesso, mi trovo ad affrontare una doppia punizione: quella a casa e quella, ingiustamente data, a scuola; fortuna che quest'ultima è quasi giunta al termine. In compenso c'è il fatto che sono diventata così brava a pitturare pareti che potrei farlo di mestiere, se non andasse bene con il college.

Non ci sono più stati scontri tra Aaron e Justin, non in mia presenza, almeno, ma la tensione che vi è tra i due quando sono nella stessa stanza è tagliente come una lama. Sono stata così sopraffatta dai miei pensieri -la mamma, i ricordi che minacciano sempre di riemergere e gli strani sentimenti che inizio a provare per Justin- negli ultimi tempi da non essermi posta nemmeno il problema della loro lite, tuttavia ancora non mi spiego perché abbiano voluto azzuffarsi; è vero che ogni volta che si incrociano nei corridoi o per strada volano provocazioni di ogni tipo, soprattutto da parte del biondo, ma è anche vero che l'altro ha sempre cercato di tenersi a debita distanza da lui, fino a qualche giorno fa.

Dovrò fare chiarezza su questo fatto.

«È un vero peccato che i ragazzi debbano allenarsi durante la pausa pranzo», commenta Sam mentre, con i vassoi in mano, attendiamo il nostro turno per gustarci i, si fa per dire, deliziosi piatti della mensa.

«Già», mi limito a dire. Il motivo per cui il coach Silver ha deciso di tenere gli allenamenti proprio tra una lezione e l'altra è, per l'appunto, dovuto al fatto che Aaron non può presentarsi nel pomeriggio, dal momento che è in punizione, ed essendo lui il quarterback della squadra l'allenatore ha pensato a questa soluzione temporanea per la gioia di tutti gli altri membri.

La fila scorre e arriva il mio turno. La donna dietro al bancone a cui, ormai, ho capito di non suscitare alcuna simpatia mi scruta con i suoi piccoli occhi attendendo impazientemente che faccia la mia scelta in mezzo a quelle pietanze non identificate.

«Prendi il purè, è più buono di quello che sembra», mi sussurra all'orecchio una voce familiare, una scia di brividi percorre la mia schiena. Quando mi volto lui è proprio di fronte a me: giacca di jeans, capelli leggermente scompigliati come al suo solito e sorriso furbo sulle labbra che spero non sia dovuto alla reazione che mi ha appena suscitato.
Mi acciglio, «Non so, chi mi assicura che tu non stia mentendo?», domando, senza, però, poter nascondere un sorriso divertito.
Justin si porta una mano sul petto e «Non mentirei mai su una cosa così seria come il purè», ghigna, ignorando completamente la rossa, alla sua destra, che lo sta letteralmente incenerendo con lo sguardo.
«E purè sia», dico, allora, rivolgendomi poi alla donna della mensa che borbotta qualcosa come "era l'ora". Vorrei risponderle, ma sono sicura che se lo facessi dovrei saltare il pranzo per il resto dell'anno; non si sa mai cosa potrebbe mettere in quelle poltiglie che si ostina a definire cibo.
Sento la risata forte e roca di Justin alle mie spalle, «Ci vediamo più tardi», mi dice per poi voltarsi verso la mia amica e con un cenno del capo «Hemmings», bofonchia con tono piatto mentre lei, in risposta, gli rivolge un sorriso falso e pieno di disprezzo.

Dopo averlo osservato allontanarsi in direzione del giardino interno, abbasso la testa cercando di ignorare gli occhi inquisitori della ragazza accanto a me e dirigendomi verso la cassa seguita da lei.

«Okay, cos'era quello?» chiede.
«Di che parli?» domando con finta innocenza aspettando il resto dal cassiere. Non apre bocca mentre raggiungiamo un tavolo libero vicino alla porta finestra, ma non faccio in tempo a sedermi che subito riattacca: «Di quello che ho appena visto, stavi flirtando con Bieber?»
Arriccio il naso, «Da quando parlare del cibo della mensa è considerato flirtare?»
A quel punto la mia amica mi lancia un'occhiata truce. «Cassie, sai a cosa mi riferisco», risponde. Se reagisce così per due stupide battute dette alla mensa scolastica non oso immaginare cosa direbbe se sapesse della notte che ho passato con lui. Le guance mi vanno a fuoco solo al pensiero di aver dormito nel suo stesso letto; vorrei davvero poter ricordare di più.

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