«Cassie», mormorò dolcemente mia madre, scuotendo leggermente il mio corpo, coperto dall'enorme piumone, quel giorno di metà dicembre, «Tesoro, svegliati».
«Ancora cinque minuti, mamma», risposi con la voce impastata dal sonno portandomi la coperta fin sopra la testa, prima che mi venisse sottratta, lasciando la mia pelle in contatto con l'aria fredda.
«Coraggio pigrona, dobbiamo andare».
«Andare dove?» chiesi ingenuamente mettendomi a sedere e stropicciandomi gli occhi.
«Nella nostra nuova casa, a New York», rispose la donna, come se fosse stata la cosa più normale del mondo svegliarsi e scoprire di dover traslocare.
«Non voglio trasferirmi a New York, sto bene qui», dissi con fermezza mettendo il broncio.
«Vedrai: nella Grande Mela starai anche meglio», mi rassicurò la donna con un sorriso compiaciuto sulle sue labbra. «Forza, preparati e va' a chiamare tuo fratello, ho già messo le vostre cose in valigia».
Feci come mi disse, così andai in bagno e poi mi vestii; non volevo andare a New York e lasciare i miei amici e la mia vita, ma quella donna aveva il dono di riuscire a persuadere chiunque di ogni cosa. Forse era il carisma che emanava, il suo apparire sempre perfetta, sempre impeccabile, a renderla così convincente. Ma quella era solo una delle sue tante facciate.
«Possiamo fare un salto dagli Evans? Vorrei salutare Aaron», domandai speranzosa. Aaron era il mio migliore amico ed ero sicura che ci sarebbe rimasto male se non gli avessi detto almeno addio.
«Oh, ci ho già pensato io, ha detto di essere davvero felice per la tua nuova vita»,
rispose lei, eppure quel suo tono brusco non me la diede a bere, «Adesso muoviti cara, o perderemo il volo».Sospirai sconfitta. Che potevo fare? In fin dei conti avevo solo dieci anni: troppo piccola per poter agire da sola, ma abbastanza grande da riuscire a capire cosa stesse succedendo.
Finii di prepararmi e scesi le scale dopo di Tyler, all'epoca ancora più basso di me.
«Bene, dimenticato qualcosa?» chiese nostra madre ad un ultimo controllo.
Guardando le valigie, allineate davanti alla porta notai che fossero solo tre.
«Papà, dov'è la tua valigia? Non vieni con noi?» fu allora che i nostri genitori si lanciarono uno sguardo, non sapendo cosa dire o, meglio, che menzogna rifilarci.
«Papà ha molte faccende da sbrigare per lavoro... Ma ci raggiungerà presto»,
rispose la donna al posto suo accovacciandosi in modo tale che fosse alla mia altezza, poi si voltò verso il marito, «Diglielo Robert» non mi piacque il modo in cui si rivolse a papà.
«Laurel...» mormorò in risposta lui.
«Diglielo!» tuonò minacciosa.
«È come dice la mamma, Cassie, ma appena avrò finito qui, correrò da voi», disse in maniera per niente convincente. Se non credeva alle sue stesse parole come avrei potuto farlo io?
«Promesso?» chiese il mio fratellino, accanto a me, il viso del più vecchio si addolcì.
«Promesso. Vieni qui, ometto». Padre e figlio si strinsero in un tenero abbraccio.
«Voglio restare con te», dissi io; avevo sempre avuto un rapporto speciale con papà a differenza di quello che avevo con mia madre, lei era fredda, assente, e non perdeva occasione per rimproverarmi per ogni minima cosa.
«Il tuo posto è con la mamma adesso, principessa. Solo... Prendetevi cura l'uno dell'altra in mia assenza, okay?» si raccomandò l'uomo, io e Tyler annuimmo contemporaneamente; lacrime che minacciavano di scendere dai miei occhi. Ci saremmo davvero presi cura l'uno dell'altra, sareebbe stato così, da quel momento e per sempre.
«Questi sono i miei ragazzi», sorrise papà e dopo averlo stretto a noi, un'ultima volta, lasciammo quella casa consapevoli del fatto che non lo avremmo più visto per molto tempo.***
«Tu sei un pericolo pubblico!» esclamo sconvolta, non appena i miei piedi tornano in contatto con la terraferma.
«Cosa? Ma se ho rispettato tutti i limiti di velocità!» controbatte quello sfacciato di Tyler.
Mi sistemo i capelli, spettinati dal casco e dal vento che, a cento chilometri all'ora, inevitabilmente, li ha scompigliati. «Sì e di quale pianeta?!» lo guardo truce incrociando le braccia al petto. Dover salire sulla sua moto ogni mattina, fin quando la mia auto non sarà aggiustata, comporta per me un grande trauma. Non solo mio fratello corre come un pazzo, come se stesse partecipando a una gara di Moto GP, ma non rispetta nemmeno i segnali stradali. Mi sorprende che non l'abbiano ancora multato per questo, o forse è successo ma io non ne sono a conoscenza.
Sbuffa, alzando gli occhi al cielo, «Oddio, Cassie, sembri la nonna».
«Scusa tanto se non voglio morire», Tyler scatta storcendo il naso alla mia risposta, «Ehi, sono un ottimo motociclista!» replica offeso. Dimenticavo quanto mio fratello tenesse alla sua moto; probabilmente nella sua testa pensa di essere davvero un campione.
«Questa è bella», rispondo sarcasticamente.
Si acciglia, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Se non ti piace il mio modo di guidare puoi sempre prendere l'autobus o andare a piedi».
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Disaster
FanfictionCOMPLETA. #1 in Teen Fiction il 7.02.19 #1 in Fan Fiction il 21.04.20 All'apparenza Cassie Anderson e Justin Bieber non potrebbero essere più diversi. Lei è una studentessa modello, dalla spiccata curiosità e la lingua tagliente, che fin da piccola...