Capitolo 43

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Quando la sveglia inizia a suonare, intimandomi con quel suo suono fastidioso ad alzarmi, il mio primo istinto è quello di scaraventare l'oggetto fuori dalla finestra.

Girandomi da un fianco all'altro sul materasso, non ho chiuso occhio per tutta la notte; i miei pensieri hanno vorticato sopra la mia testa senza mai fermarsi un istante: la cena di ieri si è rivelata una catastrofe e non so se sono più arrabbiata con mia madre, per il suo finto buonismo e le domande invadenti e con mio padre per i suoi modi rudi, volti solo a mettere in soggezione Justin, oppure con me stessa. La discussione avuta col biondo nella sua auto, seppur breve, è stata particolarmente accesa e la colpa è solo mia: se avessi azionato il cervello e mi fossi fermata per un attimo a pensare le cose sarebbero andate diversamente. Non rimangio il giudizio che ho espresso sulla donna che mi ha messo al mondo, né, tantomeno, posso cambiare a comando i sentimenti rancorosi, dovuti a diciotto anni di mancanze e fatti che preferisco non ricordare, che nutro verso di lei, ma comprendo lo stato d'animo di Justin, solo che avrei voluto comprenderlo prima di lamentarmi di fronte a lui di una cosa così.

Insomma, in questo momento vorrei solo sprofondare.

Sbuffo sonoramente, prese dalla frustrazione, tuttavia, per quanto desideri restare nel mio letto per... Beh, per sempre, so di non poterlo fare. Devo affrontare la situazione ed il primo passo per farlo è strisciare fuori dalle coperte.

Senza un particolare entusiasmo, trascino il mio corpo fin dentro al bagno, sobbalzando dallo spavento quando mi ritrovo faccia a faccia col mio riflesso allo specchio. I capelli, solitamente lisci, sembrano aver assunto vita propria e le occhiaie che solcano i miei occhi sono scure e profonde, al punto tale che non credo basterebbe tutto il correttore del mondo per poterle coprire. In queste condizioni otterrei sicuramente la parte in qualche film horror.

Inizio a spazzolare energicamente la massa informe di capelli, dopo aver constatato che per le occhiaie non c'è niente da fare e solo quando il mio aspetto risulta più o meno decente mi decido ad uscire dal piccolo ambiente per indossare i primi vestiti che trovo a portata di mano nell'armadio -un jeans chiaro ed una semplice felpa con la zip-, dopo tutto devo andare a scuola, non alla cerimonia degli Oscar.

Con tutta fretta, scendo le scale, sperando di non incontrare nessuno dei miei genitori.
Speranza che, però, viene subita infranta.

«Buongiorno, principessa», esclama mio padre, raggiante e intento a rovinare l'ennesima colazione con le sue abilità culinarie. Io non mi prendo nemmeno la briga di rispondergli o chiedergli dove sia la mamma; sono arrabbiata con lui ed il fatto che faccia finta di niente dopo il comportamento che ha tenuto ieri sera mi fa arrabbiare ancora di più.
Ignorandolo, afferro una mela dal cesto di frutta e mi volto verso Tyler, intento a consumare una scatola di cereali. «Andiamo?» lo esorto, con il desiderio di lasciare quella cucina il prima possibile. Mio fratello bofonchia qualcosa di incomprensibile a bocca piena e poco dopo si alza per recuperare lo zaino che ha comodamente gettato nel bel mezzo del corridoio.
«Quindi non hai intenzione di rivolgermi la parola?» indaga papà a seguito della mia reazione, il tono duro.

Ha invitato Aaron a cena, nonostante sapesse che ci sarebbe stato Justin e non ha fatto altro che sminuire ogni cosa che quest'ultimo dicesse, cercando di mettere in evidenza quanto, secondo la sua mentalità ottusa, lui non vada bene per me... Davvero mi sta facendo questa domanda?

«Beh, tu che dici?» gli scocco un'occhiata furiosa. «Quello che hai tentato di fare ieri è stato davvero meschino».
«Cassie...» mormora e stavolta il tono è più indulgente.
«No, papà», lo interrompo bruscamente, prima che possa aggiungere qualsiasi altra cosa; non voglio sentire le sue stupide spiegazioni. I suoi occhi azzurri mi scrutano a fondo ed io mi convinco a non guardarli per non finire col cambiare idea. «Devo andare a scuola», è tutto ciò che dico prima di aggiustarmi la borsa sulla spalla e dirigermi verso la porta d'ingresso, senza più voltarmi.

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