Capitolo 59

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Mi ha sorpreso sapere che Bruce abbia dato appuntamento a Darren in una tavola calda, poco fuori San Francisco; conoscendolo, mi sarei aspettata un club con spogliarelliste e fiumi di alcol a volontà. Ma pensandoci meglio credo che la sua scelta non sia stata poi tanto casuale: seduto ad un tavolo, a mangiare pancakes ricoperti da sciroppo d'acero, darebbe sicuramente meno nell'occhio; dopo tutto è arrivato da poco in città e vorrà sicuramente passare inosservato per non attirare su di sé la curiosità dei californiani. Intelligente, il bastardo.

Un profumo di caffè e cannella giunge alle mie narici, mentre me ne sto seduta ad uno dei tavoli. Darren voleva restare con me, non sembrava particolarmente entusiasta del mio piano, se così si possa chiamare. La mia idea è quella di scoprire cosa voglia e convincerlo a lasciare la città, in qualche modo.
So che può sembrare che la mia sia una follia, insomma, un po' lo penso anch'io, ma gli ho detto di non preoccuparsi, ché me la sarei cavata, assicurandogli che Bruce non sarebbe mai tanto stupido da fare qualcosa di inopportuno in un luogo pubblico. Inoltre, è meglio per lui se non si faccia più vedere da Bruce.

Non so come, però, mi ritrovo a pensare a Justin ed a come l'ho lasciato lì, sul portico di casa mia. Mi sento terribilmente in colpa nei suoi confronti per non avergli detto niente, ma so che se lo avessi fatto, non solo avrebbe impedito a me di essere qui, ora, ma si sarebbe cacciato in qualche guaio o peggio e mi si accappona la pelle al pensiero. È proprio ciò che voglio evitare.
Stavolta spetta a me proteggere lui dal mio passato.

Mi guardo intorno, cercando di concentrarmi sull'ambiente circostante e non su quegli occhi color caramello e quel ciuffo ribelle. 
Immagino che fosse un bel locale, una volta, che, però, il tempo o, forse, la trascuratezza ha trasformato in un ambiente tetro e malandato. Non c'è niente al suo interno che non sia rotto o consumato: le crepe sulle pareti, l'imbottitura delle poltroncine, perfino i dipendenti sembrano aver subito gli stessi effetti della tavola calda. Tutti eccetto una cameriera dai capelli cotonati, la quale sta servendo una coppia ad un tavolo poco distante; non avrà più di venticinque anni, eppure, nonostante il viso segnato dalla stanchezza non smette di sorridere a chiunque incroci il suo sguardo. Un po' la invidio, la sua forza d'animo, in questo momento; io invece mi trovo a tremare come una foglia e non certo per il freddo: il rumore del campanello sulla porta avvisa il personale e anche tutti gli altri presenti dell'ingresso di qualche possibile cliente, facendo saettare i miei occhi nella sua direzione.

È lui.

Cerco di riprendere a respirare e mostrarmi calma e tranquilla nel breve lasso di tempo che intercorre tra il momento in cui mi avvista al tavolo e quello in cui percorre i pochi metri che ci separano per raggiungermi. La sua falcata è lenta e sicura, un ghigno disgustoso sul suo volto.

<<Ma guarda un po'>> lo sento dire con la sua voce scura e grave, in piedi di fronte a me. Non lo guardo, non per spavalderia, non per dimostrargli qualcosa, ma semplicemente perché non ci riesco; solo sentirlo parlare fa affiorare in me quei ricordi che mi ero quasi convinta di aver sepolto. <<Cassie, che bella sorpresa>> commenta, poi; percepisco il sarcasmo a chilometri di distanza, come se, in realtà, si aspettasse di trovarmi qui. Provo a farmi coraggio, alzando leggermente il capo nella sua direzione e finendo con l'incrociare quel suo sguardo gelido e maligno; se continuassi a vacillare capirebbe che ho paura e questo gli darebbe solo un altro vantaggio su di me.
Bruce si infila nel posto di fronte al mio ed io faccio finta che i suoi occhi indagatori puntati su di me non mi facciano alcun effetto. <<Immagino che il mio appuntamento con il piccolo nerd sia saltato e che abbia preso tu il suo posto>> osserva, passandosi una mano sul mento.
<<Immagini bene>> mi limito a rispondere io, provando a sembrare una dura, ma riuscendo a malapena a non incrinare la voce.

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