Capitolo 22

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È stato molto, molto imbarazzante vedere Justin in quelle condizioni, anche se non mi è dispiaciuto godere della vista dei suoi addominali scolpiti; a nessuna ragazza sarebbe dispiaciuto. Per un attimo ho pensato che fosse in compagnia di una qualche cheerleader dal cervello sottosviluppato in cerca di avventure, ma per fortuna non è stato così. Tuttavia non so quanto possa essere una buona idea restare da sola con lui a casa sua. Ora che ho ammesso a me stessa di provare qualcosa per quel ragazzo, ho sempre il timore di dire o fare qualcosa di stupido. Come il guidare fino per oltre mezz'ora e presentarmi davanti alla sua porta senza un apparente motivo.

Mi costringo a mantenere la calma, cacciando ogni assurdo pensiero dalla mia testa. Curiosa, osservo le quattro mura intorno a me: l'arredamento è molto moderno e da quel che ho visto fino ad ora posso dire che i colori dominanti sono il bianco ed il nero. Mi viene da chiedermi se anche la stanza di Justin è caratterizzata dalle stesse tonalità, anche se la immagino più come la stanza rossa di Christian Grey. Raccapricciante.

Nel soggiorno, grande quasi quanto tutta la mia casa, un enorme divano ad angolo in pelle si trova posto di fronte a un tavolino in vetro, proprio sotto la TV a schermo piatto fissa sul muro, vicino ad un camino elettrico. L'ambiente circostante è abbellito da mobili dal design bizzarro ma allo stesso tempo raffinato e quadri che sembrano venire dalle mostre più prestigiose sono appesi sulle pareti; non credevo che Justin potesse avere un debole per i cubisti, per la verità non credevo che potesse avere un debole per niente all'infuori del sesso e degli incontri clandestini che disputa.

Quasi sobbalzo quando sento dei passi echeggiare nella stanza. «Vivi qui da solo?» domando voltandomi e trovandomi davanti la figura del biondo poggiato allo stipite della porta con indosso una semplice t-shirt ed i pantaloncini da basket. È veramente bello e credo che questo lui lo sappia perfettamente.

«Con mio zio», dice semplicemente avvicinandosi, poi, a me «Ma lui è sempre in giro per lavoro».

Suo zio?

Non sapevo che Justin avesse dei parenti; non ne aveva mai parlato, ma col senno di poi non è una cosa così strana: ci sono un sacco di cose che non so di lui, come ce ne sono altrettante che lui non sa di me. E comunque, col senno di poi, era altamente improbabile che da solo potesse mantenere una casa di questo calibro.

Tuttavia, la sua risposta ha innescato in me quella curiosità che mi caratterizza e che mi spinge a saperne di più, «È un uomo d'affari?» chiedo ingenuamente.
Il ragazzo si getta sul divano con nonchalance. «Direi più il tipico stronzo egoista a cui non frega un cazzo di nessuno all'infuori di se stesso», risponde con non tanto velato sarcasmo.
Mi siedo vicino a lui, i nostri gomiti si sfiorano involontariamente. «Suona familiare», commento ironicamente cercando di sdrammatizzare. Lui abbozza un sorriso, forse per aver appreso quanto quelle parole rispecchino anche il suo modo di essere o, quantomeno, il modo in cui vuole essere visto e dopo si volta nella mia direzione. «Mi dispiace, comunque», mormoro chinando la testa, quando i suoi occhi incontrano i miei.

«Non dispiacerti, io non lo faccio mai», afferma, senza, però, risultare credibile alle mie orecchie. Per quanto cerchi di fare il duro, quello dal cuore di pietra, riesco a scorgere l'amarezza e la delusione nelle sue parole.
Senza timore alzo nuovamente lo sguardo verso le sue iridi color caramello. «Dici così, ma non lo pensi davvero», replico con sincerità.

Justin mi fissa per diversi secondi, in silenzio ed è come se con quel piccolo scambio di sguardi mi dicesse tutto quello che con la voce non dice. Poi, d'un tratto, qualcosa cambia e scatta in piedi con una velocità che quasi mi spaventa. Dandomi le spalle dice: «Allora, sei qui per psicanalizzarmi?»
Mi alzo a mia volta, non sentendomi a mio agio nel discutere con lui da seduta. «In realtà sono venuta a restituirti questa», rispondo, porgendogli la giacca che per tutto il tempo ho tenuto stretta tra le mie mani. «La seduta psicanalista è un bonus».
Lui non sembra capire il motivo del mio gesto ed infatti «Avresti potuto tenerla», dice.
«Non mi piace avere le cose degli altri» -salvo le maglie di Tyler che rubo constantemente dal suo armadio, ovvio- bofonchio, stringendomi nelle spalle. So che potrei risultare pazza nell'attraversare mezza città solo per restituirgliela, ma è così che sono fatta, così gliela porgo ancora, con più decisione e lui l'afferra, anche se un po' riluttante. «Non sei venuto a scuola oggi», osservo, nella speranza di indurlo a darmi delle spiegazioni.
Justin poggia la giacca sul divano e «Avevo di meglio da fare», borbotta.

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