Capitolo 21

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La luna risplende pallida nel cielo, mentre i lampioni illuminano la strada di fronte a noi.

Per un periodo di tempo che sembra infinito nessuno dei due osa proferire parola. Chissà a cosa stia pensando, se anche lui ha avvertito quella strana sensazione alla bocca dello stomaco che ho avvertito io.

Nella mia testa è in atto una guerra tra la mia parte razionale che si rifiuta di credere che possa davvero provare qualcosa, grande o piccola che sia, per il ragazzo accanto a me e la mia parte più emotiva e vulnerabile che lotta affinché lo accetti.

Alla fine decido di rompere il silenzio, nel vano tentativo di placare anche tutti i miei pensieri e «Pensavo non saresti venuto», confesso, forse più a me stessa che a lui, senza distogliere gli occhi dal brulicare di ragazzini travestiti che continuano la loro caccia ai dolci, bussando alle porte del vicinato.

«Avresti voluto che fosse andata così?» chiede, senza far trasparire troppe emozioni.
Allora mi volto verso la mia sinistra finendo per incrociare i suoi occhi, quegli occhi così caldi ma allo stesso tempo così freddi che mi hanno incuriosita fin da quella volta, in punizione; dicono di più di quanto non lo facciano le sue parole. E la verità è che mi ci rivedo molto in quello sguardo carico di sofferenza e malinconia che di tanto in tanto attraversa il suo viso, e questo mi spaventa.

«No», dico con tutta onestà, abbozzando un sorriso. «Sono contenta che tu sia qui».

Sorride anche lui e all'improvviso sento qualcosa vibrarmi in petto.

«Ti avrei fatto un regalo, ma non sapevo cosa ti piacesse e mi hai avvertito solo questa mattina, così...» per la prima volta lo vedo seriamente in difficoltà, in imbarazzo, direi e così lo interrompo: «Non importa, non mi piacciono granché i regali», non quelli materiali, almeno. Però l'idea che avesse pensato di farmene uno, ecco... Mi piace.

Annuisce e subito il suo viso torna a rilassarsi. Non so come, né perché, ma, successivamente, Justin si avvicina maggiormente a me, fino a quando le nostre dita non si sfiorano provocandomi un brivido lungo la schiena.

Sta forse cercando di prendermi la mano?

Arrossisco al solo pensiero; tuttavia non fa in tempo a fare un'altra mossa che una voce irrompe alle nostre spalle. «Cassie?» riconosco immediatamente l'accento australiano di Sam. Ritraggo in fretta la mano e mi volto verso di lei, incrociando il suo sguardo inquisitorio. «Hanno bisogno della festeggiata di là», dice come a voler motivare il perché della sua irruzione.

Tempismo perfetto.

Annuisco silenziosamente alla rossa, per poi tornare a concentrarmi su Justin. «Sarà meglio rientrare», mormoro, ancora leggermente imbarazzata e... Intorpidita, quasi, alzandomi dai gradini del portico seguita a ruota dal ragazzo.

Rientriamo in casa senza aggiungere una parola, scambiandoci un'unica, veloce, occhiata, prima che lui si allontani dirigendosi verso Xavier, intento a flirtare con una ragazza in un angolo del salotto. A quel punto faccio per dirigermi nella direzione opposta alla sua, verso le scale, quando mi sento strattonare per il braccio.

«Che diavolo ci facevi da sola con lui? » Sam si trova di fronte a me ed enfatizza quel ''lui'' come se stesse parlando di un ricercato o del pericolo in persona, cercando di mantenere, comunque, un tono della voce basso per non farsi sentire dagli altri presenti. Anche se dubito che qualcuno possa sentirci, vista la musica tanto alta. Se qualcuno non abbassa il volume di quel maledetto stereo non passerà molto tempo prima che qualche vicino venga a lamentarsi, un buon modo per essere accolta definitivamente nel quartiere.
«Stavamo solo parlando», protesto senza dare troppe spiegazioni.
Mi scruta come se stesse cercando di capire se stia dicendo la verità oppure no, cosa che mi dà non poco fastidio. Poi «Dio mio, hai la sua giacca addosso!» dice sbigottita. Istintivamente, stringo la giacca a me; non mi ero accorta di avere ancora, ma, in ogni caso, non mi sembra di aver commesso alcun crimine.

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