Uno squillo.Niente.
Due squilli.
Niente.
Tre squilli.
Di nuovo, niente.
Perché ho un fratello così stupido da non degnarsi di rispondere?
È più di un'ora che cerco, ormai, di rintracciarlo e gli avrò già lasciato milioni di messaggi in segreteria.
«Tyler, sono io. Ancora», enfatizzo l'ultima parola ed alzo gli occhi al cielo, pur consapevole del fatto che non possa vedere la mia espressione, «Dove sei? Torna a casa subito!».
Ed è proprio in quel momento, quando premo il tasto rosso per terminare la chiamata, che sento la porta di ingresso aprirsi; mi volto di scatto ed esco dal soggiorno in direzione del corridoio per accogliere a braccia aperte -ma solo per strangolare- il mio fratellino.
«Oh, finalmente!» esclamo, rilasciando un profondo respiro. «Ti ho chiamato un sacco di volte!»
Lui posa le chiavi sul comodino di fronte all'ingresso, senza degnarmi di uno sguardo. «Avevo il telefono scarico», dice apatico e con tono piatto. Tutto qui? Nemmeno un "mi dispiace"? Ha la minima idea di quanto fossi in pena per lui?
«Sarebbe questa la tua scusa?» domando accigliata incrociando le braccia al petto in attesa di risposte certamente più valide. Vedendo una completa mancanza di reazione da parte di Tyler faccio per proseguire la mia ramanzina, ma vengo interrotta ancor prima di aprire bocca da una terza voce che si intromette nella discussione, «Il coprifuoco era due ore fa, si può sapere dove sei stato? Eravamo preoccupati per te», dice nostro padre facendo il suo ingresso nel piccolo atrio.
Il ragazzo lo guarda truce, «Affari miei», risponde con sfacciataggine.Mi passo una mano sul viso, esasperata: ha perso la testa, non c'è altra spiegazione.
«Non costringermi a mettere un gps sulla tua moto, sai che potrei farlo», lo minaccia con fare intimidatorio.
Il più giovane serra la mascella e «Non sono un bambino», borbotta.
Papà solleva un sopracciglio. «Davvero? Perché ti comporti esattamente come tale».
«Senti, perché non mi lasci in pace? Non ho bisogno delle tue scenate da ''padre apprensivo e presente''», replica Tyler mimando le virgolette mentre pronuncia le ultime parole. Io, dal canto mio, resto in disparte a guardare la pentola che bolle in attesa di strabordare e seminare acqua bollente come lava; so che qualsiasi intervento da parte mia non farebbe che compromettere ulteriormente questa situazione precaria; è una faida che riguarda solo gli uomini della famiglia Anderson e non me. Eppure, alla fine, anch'io mi sono ustionata la mano.«Sai, comincio ad averne abbastanza della tua strafottenza. Non è questo che ti ho insegnato», afferma il più anziano alzando il tono della voce. La vena sulla sua fronte inizia ad ingrossarsi per la rabbia.
Sentendo quelle parole lo sguardo di Tyler si fa di fuoco. «Tu?» scoppia a ridere, prima di continuare con un «Tu non hai insegnato proprio niente a nessuno. Non sai niente dei tuoi figli, niente», facendo dei passi in direzione del nostro genitore fino a piazzarsi a pochi centimetri da lui. Gli occhi gli escono quasi dalle orbite ed io inizio davvero a preoccuparmi; non avevo mai visto mio fratello reagire in questo modo; è come se il rancore che ha serbato per otto anni minacciasse di esplodergli in faccia tutto in una volta.
«Tyler...», lo richiamo, sperando che non aggiunga altro di spiacevole, di cui, una volta lucido, potrebbe pentirsi.Lo tiro per la maglia, inducendolo a voltarsi verso di me.
«No, Cassie, deve saperlo».
«No, per favore», lo imploro io. Non è necessario che nostro padre sappia. Non così. Non ora.
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Disaster
FanfictionCOMPLETA. #1 in Teen Fiction il 7.02.19 #1 in Fan Fiction il 21.04.20 All'apparenza Cassie Anderson e Justin Bieber non potrebbero essere più diversi. Lei è una studentessa modello, dalla spiccata curiosità e la lingua tagliente, che fin da piccola...