Capitolo 37

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Volevo solo passare una serata allegra e spensierata come una diciottenne qualunque, non speravo certo di ottenere un giro turistico nella centrale di polizia.

Seduta su una scomoda sedia nel corridoio con una coperta avvolta intorno alle spalle, tremante non per il freddo, ma per lo shock, ripenso agli eventi accaduti solo poche ore fa; sono ancora inorridita dal modo in cui Dean ha tentato di toccarmi e ce l'ho con me stessa per essermi fatta abbindolare dal suo modo di fare da bravo ragazzo che, ovviamente, era solo una messa in scena. Lui che mi pedina fuori dal locale, il suo ghigno perverso e ancora, Justin che si scaglia su di lui con tutta la sua forza riducendolo in una pozza di sangue; tutte queste immagini attraversano la mia mente in modo nitido, ma allo stesso tempo così confuso.

Non capisco perché l'abbia fatto, perché abbia voluto aiutarmi dopo le non tanto carine parole che mi ha riservato non molto tempo fa. Ma è stato un bene che lui fosse lì, in quel momento, perché non voglio nemmeno pensare cosa sarebbe potuto succedere.

Sono stanca, affamata, sconvolta, ma soprattutto preoccupata, non tanto per me quanto per Justin; vederlo mentre lo immobilizzavano legandogli le manette ai polsi non è stato affatto piacevole. Lui, però, strano ma vero, non ha opposto resistenza.

Ho visto il colore caldo dei suoi occhi incupirsi sempre di più nell'istante in cui ha realizzato quello che stava facendo e quando è successo, come appena svegliato da un incubo, paura ed incertezza hanno attraversato il suo sguardo di solito temerario e sicuro. E mi si è stretto il cuore per lui. Era evidente che avesse perso il controllo e non ragionasse con la mente lucida, come quella volta, a scuola, con Aaron, -e anche in quel caso, sebbene non ne fossi a conoscenza, fui solo io la causa della loro rissa- e, probabilmente, deve essergli successa la stessa cosa anche l'anno scorso, quando fu quasi espulso dal liceo. Forse, odia quella parte di sé, quella impulsiva ed incline alla violenza con la quale deve convivere ma che non sa ancora come gestire.

A Tom, -l'agente che mi ha interrogata e che, per giunta, è molto amico di mio padre-, ho raccontato per filo e per segno ciò che è accaduto, ribadendo più volte come il biondo abbia reagito in quel modo solo per difendere me da un'aggressione, ma nonostante ciò mi hanno impedito di potergli parlare mantenendolo in stato di fermo.

Ma il peggio non è ancora arrivato.

Il rumore di una porta spalancata con forza giunge alle mie orecchie portandomi a voltarmi verso la mia destra.
«Papà...», mormoro scattando automaticamente in piedi e facendo scivolare via la coperta dal mio corpo, quando vedo Robert Anderson in uniforme fare il suo ingresso nel corridoio ed avvicinarsi a me con passo deciso.

«Ero di pattuglia quando ho ricevuto una chiamata che diceva che mia figlia è stata portata in centrale perché coinvolta in una rissa», annuncia marcando quel "mia figlia" come ogni volta, quando è furioso, la vena sulla sua fronte sempre più grossa e sporgente.

Non credo abbia intenzione di fare una scenata davanti a tutto il corpo di polizia... Giusto?

Mi mordo la guancia, nervosa, «Posso spiegarti».

«Oh, eccome se lo farai, signorina», tuona minaccioso poggiando le mani sui fianchi in una posa statuaria, «Una cosa simile me la sarei aspettata da tuo fratello, ma non da te».

«Perché? Perché sono una ragazza?» La domanda mi viene spontanea e, sebbene mi renda conto di non essere nella posizione adatta per fare la ribelle, mi innervosisce il fatto che sembri usare sempre due pesi e due misure quando si tratta di me e Tyler.

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