Capitolo 30

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Il rumore degli stivaletti sull'asfalto bagnato accompagna i miei passi verso l'edificio in mattoni di un colore che presumo un tempo fosse bianco, ma che adesso ha assunto un colore grigiastro, situato in una zona di periferia del tutto abbandonata.

Giunta, ormai, di fronte all'entrata, mi stringo nella giacca, soffermandomi a guardare l'ingresso perplessa; un sospiro esce dalla mia bocca insieme ad una piccola nube di fumo.

Afferro il pezzo di carta posto nella tasca e guardo l'indirizzo segnatovisi sopra controllandolo più volte per essere sicura di non aver sbagliato strada.

Dopo essermi convinta di essere, si fa per dire, nel posto giusto, mi decido a fare i decisivi ultimi passi; spalanco con forza la porta, facendo suonare il campanello all'ingresso e attirando, involontariamente, l'attenzione di due energumeni su di me che mi fissano accigliati.

Che hanno da guardare questi?

Ignorando le loro occhiate per niente confortanti, raggiungo il bancone della reception, dietro al quale si nasconde la figura di una ragazza dai capelli biondi raccolti in uno chignon disordinato, mentre il suo viso si cela dietro la grossa montatura degli occhiali. Io, probabilmente, in quello stato sembrerei una strega, ma lei no, al contrario, il look alla segretaria spettinata le sta davvero bene.

Noto una targhetta all'altezza della clavicola sinistra, attaccata proprio sopra la camicetta dall'abbondante scollatura e al cui interno vi è scritto Chelsea.

Anche il nome è più bello del mio.

Non appena si accorge della mia presenza, distoglie il suo sguardo dallo schermo del computer scrutandomi con il capo rivolto verso l'alto, ovvero nella mia direzione e squadrandomi per un tempo non indifferente. «Che posso fare per te?» domanda levandosi le lenti e mostrando i suoi occhi verde smeraldo dalle folte ciglia.

«Sto cercando una persona».

***

Una volta raggiunto un secondo ingresso accompagnata da Chelsea, quest'ultima mi fa un cenno con la testa invitandomi a spostare lo sguardo; solo adesso mi rendo conto che la porta di fronte a noi sia spalancata.

Lui è proprio lì, nella sua tenuta sportiva: pantaloncini da basket e canotta, mentre tira una raffica di pugni ad un sacco.

I colpi sono così forti e violenti che temo da un momento all'altro possa distruggerlo e sradicare il gancio che fissa saldamente l'oggetto al soffitto.

Mi volto verso la ragazza per un istante, la quale sorride maliziosamente, senza che io ne capisca il motivo, prima di girare i tacchi e tornare presumibilmente al bancone delle informazioni. Decido, però, di non dare molto peso alla sua reazione e di pensare, invece, al ragazzo pieno di rabbia di fronte a me.

«Quello sembrava doloroso», commento ad alta voce, così che possa accorgersi della mia presenza, concentrato com'è nel massacrare quel sacco come se fosse una persona per cui serba un forte odio e rancore.

Lui scatta all'istante voltandosi verso di me, gli occhi sgranati e il respiro pesante per lo sforzo fino ad ora compiuto; piccole gocce di sudore imperlano la sua pelle pressoché perfetta, «Come mi hai trovato?»

Avanzo lentamente nella sua direzione, scrollando le spalle, «Xavier è davvero utile a volte, sai?» chiedo retoricamente e con ironia.

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