12. Insicurezze

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12. Insicurezze

Justin

Genesis era così, così...così come?
Non sapevo nemmeno io come definirla.

Strana, forse?

Strana in un modo positivo, assolutamente. Strana, diversa e difficile. Certamente difficile, non era una di quelle ragazze con la testa tra le nuvole.

Avrei tanto voluto sapere cos'era successo nella sua vita perché né lei né suo padre mi avevano detto nulla, se non qualcosa di vago.
Sembravo una pettegola quarantenne nel voler sapere la verità, ma era vero: volevo saperlo.

***

Suonai il campanello e subito la rossa venne ad aprirmi.

Quei suoi capelli rossi erano davvero qualcosa di unico, quel qualcosa che rende una persona riconoscibile dal primo istante e sicuramente speciale.

"Ciao" disse timidamente, cercando di nascondersi nella sua felpa.

"Ciao Genesis" risposi entrando nell'appartamento "come va?"
Continuai, cercando di rompere il ghiaccio. Nonostante avessimo già passato delle giornate insieme, era ancora molto chiusa nei miei confronti.

"Bene" rispose facendo una piccola smorfia, "cioè, come il solito. La mia vita non è entusiasmate e ricca di avventure"

Ridacchiai.

"Posso chiederti una cosa?" mi disse sedendosi sul divano. Annuii.

Aveva degli occhi così dannatamente marroni e non potei evitare di chiedermi cosa avessero mai visto.

"Perché hai deciso di venire qua?"

"Faccio l'università" le risposi cercando il suo sguardo "ho bisogno di soldi per mantenermi gli studi"

Lei annuì poco convinta fissando il pavimento.

Stavo per chiederle in motivo di quella domanda quando mi interruppe.
"All'università studi anche psicologia?"

"Sì, anche quello".
Volevo capire dove volesse andare andare parare, ma d'altro canto era una cosa positiva il fatto che iniziasse ad interessarsi a sapere più di me.

Mi avvicinai di più a lei.
"Perché me lo chiedi?"

Sorrise leggermente.
"Non lo so, a me la psicologia piace però purtroppo non ho mai avuto l'opportunità di studiarla" sospirò, "mio padre ci teneva che mi specializzassi in economia". Roteò gli occhi.

"E non ti piace, vero?" le chiesi dopo dopo aver visto il suo sguardo.

Sospirò ancora. Non smetteva di fissare un punto indefinito del pavimento, torturandosi il labbro.

"No" rispose semplicemente, "non mi piace per niente quella roba"

Sorrisi per la sua risposta, ma quando incontrai di nuovo il suo sguardo inespressivo il mio sorriso scomparve.
Aveva uno sguardo così inespressivo che non lasciava comparire la minima emozione, però se ci guardavi più in fondo, traspariva almeno un briciolo di tristezza.

"Genesis" la chiamai per ottenere la sua attenzione. Lei si voltò.
"Posso farti una domanda io, adesso?"

Lei annuì, anche se, dato il suo carattere, mi avrebbe odiato per quello che avrei detto, ma non potevo non chiederglielo. La mia curiosità aveva quasi sempre la meglio.

Mi misi un piedi difronte a lei e la guardai negli occhi.

"Vorrei chiederti cos'è successo nella tua vita. Perché sei sempre così?"

Parlai senza pensarci, anche se dopo averci riflettuto un attimo sù, la mia domanda non era una delle migliori.

Lei sospirò, eppure non se la prese più di tanto come avevo pensato.

"Mio padre non te l'ha detto?" mi chiese, quasi ignorando cosa le avessi chiesto non meno di trenta secondi fa.

"No" risposi semplicemente.

Genesis ridacchiò.
"Strano" disse, "di solito lui parla anche troppo riguardo i nostri problemi"

Si alzò dal divano e camminò lentamente verso di me.
"Comunque Justin" iniziò a parlare lentamente, "per adesso non te lo dirò. Ti dico solo che dovrei essere più sicura in futuro e avrei dovuto esserlo sicuramente soprattutto in passato: mi avrebbe aiutato e forse adesso non sarei qui a parlare con te"

Alcune ciocche dei suoi capelli rossi le ricadevano sul viso, mettendo in risalto le sue labbra rosee.

Mi appoggiai al muro e continuai a riflettere sulla nostra conversazione.

"Le persone insicure di solito sono quelle che sanno di più cosa vogliono"

"Ma non riescono a raggiungerlo" corresse interrompendomi. "Forse è questo che volevi dire, non è così per caso?"

Negai e Genesis continuò a guardarmi aspettando che terminassi la frase, questa volta in modo diverso da come mi guardava solitamente. In quel momento sembrò che dipendesse dalle parole che stavo per pronunciare.

"Stavo dicendo che le persone insicure sanno cosa vogliono, ma pensano di non potercela fare. È molto diverso dal non riuscirci"

Lei sospirò.
"Non è forse così, Genesis?" lei rimase inghiottita dal suo silenzio.

"Tu sei solo convinta di non potercela fare" continuai.

Lei negò ancora.
"Tu non mi conosci. Non sai a cosa sono dovute tutte le mie insicurezze"

"Non importa la loro origine, le insicurezze rimangono tali"

Lei riamse zitta, avvolta dai suoi pensieri.

"Le tue insicurezze sono un qualcosa su cui tu, personalmente, dovresti lavorare. Sono uno scopo che la vita ti dà. Migliorare sé stessi è un bene, non si cambia sempre in peggio, non credi?
Nessuno si può migliorare se prima non ha visto la sua peggiore forma; le cose cattive che ti rendono quello che non sopporti tu sono solo una sfumatura della tua personalità. Ogni persona odia qualcosa di sé. Puoi decidere di conviverci oppure di tenerla a bada, però non devi lasciare che quest'ultima prenda il controllo di te. E, se i tuoi lati negativi ti danno così tanto fastidio come dici, non serve coprirsi gli occhi e far finta che non esistano.
Le insicurezze sono nate per essere trasformate in coraggio"

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