39. La fine è un altro inizio

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39. La fine è un altro inizio

In realtà, non esiste una fine. Non esiste una fine che subito dopo lascia il buio, almeno se non parliamo della morte. La fine è solo un altro inizio, ma non puoi sapere se sarà peggiore o migliore dell'altro. Starà a te decidere questo, ma dopo aver vissuto il cambiamento.

***

Erano trascorse più di due settimane e la mia vita non era cambiata più di tanto. A dire il vero, era sempre uguale, ma chi non ha una vita monotona, in fondo?

Nonostante tu sia un personaggio famoso, un comune cittadino o qualsiasi altra persona, tutto ciò che fai, alla fine sarà uguale. Agli occhi degli altri potrà essere anche unico, ma, alla fine, l'unica cosa che conta è come lo vivi tu.

Avevo di nuovo problemi nel prendere sonno, la notte. Me ne stavo sotto le coperte per ore ed ore che sembravano infinite.
Quando dormi, sei ore sembrano passare con la stessa rapidità con cui passano cinque minuti, ma quando continui a rigirarti nel letto, immersa nei pensieri, sembrano non finire mai.

In quei momenti speravo solo di spegnere il cervello. Non chiedevo tanto, ma non succedeva.

L'insonnia è come essere in una bolla di sapone, basta pochissimo per farla esplodere, ma alcune volte non succede. Non tutto ciò che è fragile è destinato a rompersi.

Però, proprio in una di quelle interminabili notti, trascorse con il ticchettio dell'orologio nel salotto, le ombre che sembravano inghiottire ogni cosa, mi resi conto che qualcosa non andava. Era una sensazione strana, mai provata fino ad allora.

Alcune volte per capire che qualcosa non è come dovrebbe essere non ci vogliono prove. Alcune volte lo sai e basta: è una sensazione che va ben oltre a qualcosa che puoi toccare. Non ne hai la certezza, però in qualche modo sai che è così.

Quella notte, non chiusi occhio nemmeno per un secondo. Ero troppo presa a pensare a ciò che sarebbe successo il giorno dopo e quello dopo ancora. La mia vita sarebbe cambiata e io avrei messo una mano sul fuoco per scommettere di aver ragione. Tanto non mi sarei scottata.

La mattina seguente, appena mio padre si recò al lavoro, chiamai Amber.
Dovevo essere rigorosamente sola durante quella telefonata.

Con le gambe che mi tremavano, le mani congelate e con le occhiaie dovute al poco sonno e ai troppi pensieri, composi il numero di Amber.

Il solo pensiero di chiamare Justin invece di lei non mi passò minimamente per la testa.
Nonostante la sua empatia e quanto si sforzasse per capirmi, in quell'occasione, non poteva essermi d'aiuto.
Avevo bisogno del supporto e della comprensione di Amber, ma non in ambito psicologico.

Esattamente come immaginai, lei mi capì. Mi disse che mi avrebbe aiutato, per cominciare, avendone la certezza.

Dopo due ore, Amber corse a casa mia. Lei era soprattutto emozionata, io avevo solo paura. Era come se una nuvola nera oscurasse i miei pensieri.

Le chiesi, gentilmente, di lasciarmi sola. Non era per cattiveria o perché mi approfittassi delle persone, ma necessitavo di stare sola in quel momento. La presenza di altre persone alcune volte non è quello che ci serve.

Amber mi capì perfettamente e prima di uscire la ringraziai. Le dissi che le volevo bene. Erano parole che arrivano dal cuore ed erano sincere.

Nonostante iniziasse a fare caldo, appena rimasi sola, mi feci un bel bagno bollente, il quale durò forse più di un'ora. Alla fine l'acqua si raffreddò.

***

Ne ebbi la conferma tre ore dopo essere uscita dalla vasca da bagno. Vacillavo tra la paura e la curiosità.

Alla fine, lo feci e basta e tutto quello che avevo immaginato nelle ultime ore, era proprio lì, tra le mie mani.

Ormai non era più un forse, era una certezza.

Rimasi a guardarlo per altrettante ore.
Aprii il rubinetto e mi lavai il viso con l'acqua fredda ripetute volte e piansi quando le goccie d'acqua arrivavano sul mio viso; le lacrime si confondevano con esse.

Indossavo ancora l'accappatoio e ne approfittai per farmi un altro bagno.

***

Justin appena entrò mi diede un bacio a stampo.
"Hai visto che ti ho chiamato prima?"

Mi limitai ad annuire.

"Come mai non hai risposto allora?"

Non sapevo cosa dirgli. Avevo sentito il telefono squillare, ma non me la sentivo di rispondere.

"Genesis" mi chiamò ancora. "Va tutto bene? È successo qualcosa?"

Mi prese il mento tra il pollice e l'indice, però gli feci togliere la mano.

Justin iniziò a preoccuparsi.
"Va tutto bene?" chiese.

Negai con il capo e distolsi lo sguardo. Non ce la facevo a reggere tutto questo.

"È successo qualcosa con tuo padre? Con tua madre?"

Misi le mani in tasca.

"Con me?" provò di nuovo.

Finalmente, lo guardai dritto negli occhi.
"No, Justin" risposi.

"E allora cosa?"

I suoi occhi si muovevano velocemente, cercando di interpretare ogni mio piccolo sguardo.

"È che io" cominciai, ma subito dopo la frase morì nella mia gola.

Justin mi spronò a continuare.

Mi morsi il labbro.
"È che io sono solo incinta"

Agorafobia; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora