32. Sì, maledizione. Ho paura!

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32. Sì, maledizione. Ho paura!

"Cos'è quel segno sul collo? È per caso quello che penso?" gridò mio padre. Era una persona che perdeva le staffe difficilmente e vederlo così arrabbiato mi confondeva. L'ultima volta che gridò tanto fu quando mia madre smise di prendere gli antidepressivi senza dirlo a nessuno, perché credeva la avvelenassero: credeva che qualcuno di noi, stanco di lei, stesse tramando di ucciderla, usando appunto le medicine prescritte dai suoi psicologi.

Indietreggiai senza accorgermene.
"Ascoltata, papà. Ho ventitré anni, non quindici. Credo di essere arrivata in un punto della mia vita in cui sia normale"

Non ce la feci a terminare la frase. Non mi resi conto di cosa accadde. Sentii solo la guancia destra bruciare, come se fosse in fiamme.
Portai una mano sopra ad essa, per attutire il dolore.

Mio padre uscì di casa. Non mi diede spiegazioni del suo gesto. Era la prima volta che alzava le mani.

***

"Girati" ordinò Justin "cos'hai lì?"

Sospirai mentre analizzava attentamente il segno rosso che avevo sulla guancia.

Scrollai le spalle.
"Non lo so" dissi cercando di fare l'indifferente, "ma non è niente di importante"

Trattenni il fiato, sperando che lasciasse perdere.

Mi sentii terribilmente inquieta.

***

Decisi di andare a letto presto, quella sera. La stanchezza era opprimente e nonostante dovessi essere al settimo cielo per essere riuscita ad uscire di casa, non provavo felicità.

Mi sistemai per bene sotto le coperte. Nonostante non lo reputassi possibile, dopo due minuti mi addormentai di colpo.

Quando mi risvegliai, il buio era ancora più buio delle altre volte. Ancora più buio di una notte d'inverno senza luna e ancora più buio di quando spegni le luci della camera.

Cercai attorno a me l'interruttore della luce e, dopo vari tentativi andati a vuoto, ebbi un inquietante presentimento.

Quella non era la mia camera. Io non ero nel mio letto. Non ero nemmeno in casa mia.

Dal nulla, intravidi una luce e mi incammiai verso essa, non trovando nessun'altra alternativa.

La luce illuminava leggermente l'ambiente e mi permise di vedere ciò che mi circondava: una semplice e banalissima stanza, senza finestre e priva di mobili. Davanti a me, c'erano due porte in legno come quelle che avevamo nella nostra vecchia casa, quando mamma era ancora viva e quando non abitavamo ancora a Toronto. Le due porte erano perfettamente idetiche.

Un brivido di freddo mi persorse la schiena e solo allora mi accorsi d'essere completamente nuda. Non riuscivo a capire come fosse possibile, ma almeno ebbi la conferma di star ancora sognando.

Scelsi la porta di destra e iniziai a camminare nel lungo corridoio, illuminato da piccole luci rosse poste sul soffitto.

Continuai a camminare lentamente e con timore. Il pavimento era scivoloso e alcune goccioline d'acqua che cadevano dal soffitto non aiutavano di certo a renderlo più sicuro. Il rumore dell'acqua venne interrotto da un rumore di passi. All'inzio era molto flebile, ma con il passare del tempo, diventava sempre più pesante. Chiunque fosse, si stava avvicinando.

Cercai di identificare la persona, ma la poca luce non aiutava. Era sempre più vicino. Iniziai a correre e poco dopo, anche l'inseguitore iniziò a farlo.

Aumentai l'andatura della corsa, ma scivolai. Chiunque mi stesse inseguendo era molto vicino; mi rialzai appoggindomi al muro quando caddi a terra un'altra volta. Guardai il pavimento e mi accorsi che era ghiacciato.

Corsi per quanto mi era possibile e mi bloccai in preda al panico quando vidi che davanti a me c'era un muro.

L'ipotesi di scavalcarlo crollò quando vidi che arrivava fino al soffitto e mi resi conto di non poter trovare nemmeno un'apetura per oltrepassarlo.

Terrorizzata, mi rannichiai a terra sperando che tutto finisse alla svelta.
Lo sconosciuto che mi rincorreva era ormai a distanza di pochi metri e chiusi gli occhi aspettando di essere raggiunta.

Sentii una risata.
"Che cosa stai facendo?" sgnignazzò l'inseguitore, da un lato divertito ma anche incuriosito.

Era ancora nella penombra e non riuscii a vedere chi fosse, ma capii che si trattasse di una donna. La sua ombra era troppo esile per appartenere ad un uomo.

Si avvicinò a me e sgranai gli occhi per lo stupore.

"Chi sei?" balbettai.

Lei rise ancora e si mise una mano sulla fronte.
"Come diavolo fai a non riconoscermi? Io sono te, sciocca"

Aveva un vestito bellissimo, di un colore rosa pallido abbinato ad un paio di tacchi. I capelli erano sciolti e un po' scompigliati.

"Dai, alzati" disse.

Obbedii.

"Cos'è questo posto?" le chiesi, sperando che potesse rispondermi.

Fece una smorfia.
"Piuttosto" disse ignorando la mia domanda, "perché scappavi da me?"

Restai colpita da ciò che aveva detto.
"Non lo so"

Lei rise di nuovo, ma non era un sorriso come gli altri.

"Te lo dico io" sussurrò.

Rimasi in attesa.

"Scappavi perché avevi paura. Tu credi di essere terrorizzata da quello che sta fuori, ma invece, se fossi più attenta ti accorgeresti che quello che ti provoca così tanta paura è dentro di te. Tu stai scappando da te stessa"

"No!" sbraitai indignata "io sto affrontando le mie paure. Sono anche riuscita ad uscire di casa"

Lei scosse la testa.
"Quello che ci spaventa non è mai qualcosa di esterno. Le paure non sono fuori di noi, bensì dentro di noi. È per questo che non puoi scappare"

Urlai di nuovo. Sentii le pareti vibrare.
"Non ho paura"

Mi porse la mano e, con titubanza, la afferrai.

Cercai di dire altro, ma quello che accadde fu talmente incredibile da paralizzarmi.

Lei cominciò a sussultare. Lo spasmo partì dal viso per poi diffondersi in tutto il resto del corpo. Quello spettacolo era qualcosa di raccapricciante, i rigonfiamenti erano come se all'interno del corpo ci fosse qualcosa di terribile pronto a saltare fuori e aggredirmi. Quando gli spasmi diminuirono, guardai il suo volto e, per il terrore, le lasciai la mano. Il viso si stava completamente sciogliendo, come la cera di una candela, cambiando forma e rendendolo irriconoscibile.

Lanciai un grido e cercai di allontanarmi, ma non fu possibile per via del muro alle mie spalle.

"Dillo chiaramente" all'inizio, parlò con una voce uguale a prima, che poi però diventò più bassa come quella di un uomo e subito dopo più acuta, come quella di una bambina.

"Sì" urlai in preda al panico "sì. Maledizione, ho paura"

Sorrise compiaciuta e subito dopo, dalla bocca, dalle orecchie e dagli occhi fuoriuscirono centinaia, migliaia di scarafaggi. Il corpo, ormai deforme e irriconoscibile, cadde a terra come se fosse una maschera di gomma.

Gli scarafaggi mi raggiunsero con una velocità impressionante. Urlando, cercai di mandarli via, ma tutto fu inutile. Le loro piccole e minuscole zampette provocavano un insopportabile solletico sulla mia pelle.

Corsi via, arrivando fino alla porta da cui ero entrata, ma con orrore, mi accorsi che era chiusa. Urlai e la mia voce per poco non spaccò le pareti.

Aprii gli occhi e immediatamente accesi la luce. La fronte era madida di sudore e tremavo in tutto il corpo.

È tutto finito, mi dissi, ormai non ho più nulla da temere.

Passai una mano sulla fronte e mi accorsi che scottava terribilmente. La mano era gelata.

"Perché scappi da te stessa? Ti fai così paura? O forse ti sei resa conto che il problema è diventato una parte di te e sei consapevole del fatto che non puoi lasciarlo andare?"

Agorafobia; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora