16. Verità
Sentii i muscoli della sua schiena a contatto con la mia rilassarsi, allora lo feci anche io.
Sospirai al solo pensiero di quello che stavo per fare: era davvero impressionante il modo in cui Justin volesse sapere cosa mi tormentasse. Voleva scoprire tutto su di me, eppure non era affatto invadente, anzi. Rendeva le cose talmente facili, riusciva a farmi parlare con una facilità impressionante. Le parole uscivano dalla mia bocca immediatamente, come se stessero scivolando sul ghiaccio.
Sospirai e mi appoggiai di più alla sua schiena.
Non ero per niente sicura di poterlo fare.Justin mi aiutava tanto; da quando lo vidi per la prima volta nel mio salotto, dietro a mio padre, a quel momento, il nostro rapporto d'amicizia era migliorato tantissimo.
Nonostante i miei sforzi e nonostante fossi convinta di noi poterlo più fare, riuscii ad affezzionarmi a Justin, ci tenevo a lui e anche lui in parecchie occasioni aveva dimostrato lo stesso. Era una persona genuina, la classica persona che farebbe qualsiasi cosa pur di vederti stare bene: a Justin stava a cuore il prossimo.
Con lui trascorrevo una parte delle mie giornate e quando ero in sua compagnia sembrava che tutto il resto non esistesse. Attorno a me, tutto sembrava scomparire nel nulla, ma poi ritornare quando Justin se ne andava. Allora in quel momento era come se sprofondassi sempre un po' più in fondo nella verità. Una verità che era tutta diversa dall'altra.
Justin, in un certo modo, ingannava la mia verità e la rendeva un po' più piacevole e facile da mandare giù.
"Comincia tu, per favore" dissi io con una voce piuttosto acuta. Avevo paura, ma sapevo che quello era il momento giusto per dirgli tutto e non dovevo lasciarmi sfuggire quell'occasione.
Avevo paura. Avevo paura che, dicendogli la verità su mia madre, lui avrebbe potuto abbandonarmi, in fondo era l'unico amico che avevo.
Justin fece per parlare, ma lo interruppi prima che potesse dire qualcosa.
"Aspetta" dissi voltandomi. Ormai la mia schiena non era più contro la sua. Mi voltai e lo guardai negli occhi. "Perché stiamo facendo questo?"
Lui esitò e si morse leggermente il labbro.
"Perché voglio conoscerti di più""Ma tu mi conosci già abbastanza" ribattei.
Lui scosse la testa.
"No, sbagli e lo sai anche tu, smettila di mentirmi e smettila di mentire a te stessa"Rimasi in silenzio dopo la sua frase, palesemente vera.
"Io non voglio giudicarti, Genesis. Non ti giudicherò quando, adesso o in futuro, mi dirai cosa ti preoccupa tanto"
"Come fai a sapere che qualcosa mi preoccupa?"
"Te lo si legge negli occhi"
Sospirai alla sua tenacia.
"Cosa ci guadagnerei giudicandoti?" mi chiese appoggiando una mano sulla mia spalla.
A differenza delle altre volte, il contatto con la sua pelle non mi fece alcun effetto.
Ridacchiai.
"Il mio silenzio, otterresti il mio silenzio""Non voglio il tuo silenzio, ne ho avuto abbastanza" disse, questa volta scoppiando a ridere.
Mi girai di nuovo. La mia schiena era appoggiata alla sua come prima.
"Ti fidi di me?" mi chiese Justin.
Mi morsi il labbro e ci pensai per qualche istante.
"Sì"Me lo immaginai sorridere alle mie spalle grazie alla mia affermazione.
"Vai" gli dissi.
"Okay" si schiarì la voce. "Io avevo una ragazza, Via".
Lo interruppi. "Via?"
"Sì. È il suo soprannome: il suo vero nome è Olivia, ma ormai tutti la chiamano Via"
Annuii nonostante non potesse vedermi.
Lui proserguì.
"È una delle ragazze più belle su cui abbia mai posato gli occhi"In quel momento mi immaginai la sua ragazza, Via.
Me la immaginai come la classica ragazza popolare del liceo, bellissima e bionda.
Non la conoscevo, eppure ero sicura che la mia descrizione mentale su di lei fosse giusta.
Via era carina, esile e graziosa. Una ragazza sempre solare e sorridente, amata da tutti e una persona vera."Insomma" disse iniziando a parlare più velocemente, "stavamo insieme. Io la amavo, lei mi amava. Eppure, riuscii a tradirla"
Fece un sospiro.
"E non me lo perdonerò mai, credimi"Chiusi gli occhi e feci un sospiro.
"Justin" richiamai la sua attenzione "sei un coglione, lo sai vero?"Lui ridacchiò leggermente.
"Lo so. Soprattutto perché la amo ancora, ma lei giustamente non vuole più saperne di me" concluse. Ero in grado di percepire della tristezza nelle sue parole."Okay, ma adesso non parliamo di me. Parliamo di te"
Mi morsi il labbro inferiore. Non ero davvero sicura di volerlo fare, però, per una volta, mi fidati delle parole di un'altra persona.
Chiusi gli occhi e, senza rendermene conto, la verità uscì fuori dalla mia bocca come se stessi dicendo una normalissima frase.
"Lo sai, a volte credo che la colpa sia davvero mia. Credo che se io avessi fatto qualcosa adesso tutto sarebbe diverso" sospirai, "eppure ormai è troppo tardi. Il passato non si può cambiare"
E mentre pronunciavo quelle parole, pungenti come mille aghi, la mia gola bruciava, ma non solo: anche i miei occhi pizzicavano. Sentivo come se stessi rivivendo quel giorno, lontano da me di molti anni, eppure i brividi che mi procurava sulla pelle mi facevano capire che quella sensazione non mi avrebbe abbandonata nemmeno dopo cent'anni.
Senza accorgermene, le mie guance rosee erano rigate in continuazione da pesanti lacrime di rimorso, un rimorso che niente e nessuno avrebbe mai potuto cancellare.
Rividi la soffitta della nostra vecchia casa, con i suoi mille scatoloni e le sue travi di legno. Ricordavo ogni minimo dettaglio e questo non mi fece certamente smettere di aver paura.
Mi girai di scatto verso Justin, parecchio confuso. Mi abbandonai addosso a lui e lo avvolsi tra le mie braccia, non mi importava di cosa avrebbe potuto pensare.
Pochi istanti dopo, ricambiò l'abbraccio, mentre io continuavo a piangere sulla sua spalla, bagnando con le mie lacrime la sua maglietta. Le mani mi tremavamo al solo pensiero di mia madre e di quello che avevo fatto. O meglio, che non avevo fatto.
Dopo, raccontai a Justin tutto. Tutto. Dall'inizio fino alla fine e non me ne pentii affatto. Dopo avergli rivelato il mio segreto mi sentii più leggera.
Gli raccontai della mia vita prima di tutto: della mia vecchia casa, della mia scuola, della mia famiglia. Gli raccontai delle mie giornate e di me.
Poi, gli dissi della mia vita dopo la morte di mia madre: gli raccontai della sua malattia, di quello che aveva fatto e dei farmaci.
Gli raccontai di quel pomeriggio e a lui confessai della mia colpa. Gli dissi tutto, gli dissi la verità che voleva tanto sapere.Justin rimase in silenzio. Dopo che smisi di piangere, non disse più nulla. Ascoltava solo la mia verità.
Quando la tempesta finì, dopo che ebbi finito di parlare, dopo che smisi di singhiozzare, dopo che i miei occhi non furono più rossi per il pianto e dopo che mi fui finalmente calmata, lui continuava a non dire niente.
Non disse, come credevo, parole di conforto e di commiserazione, mi strinse solo fra le sue braccia e questo valse anche mille volte di più delle solite inutili parole che gli altri mi avevano sempre detto.

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Agorafobia; jdb
Fiksi Penggemar«L'agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fu...