40. Il bivio
Justin sentì il bisogno di sedersi. Aveva gli occhi spalancati e non riusciva a stare fermo un secondo.
Adesso era lui quello che non reggeva il mio sguardo."Ne sei sicura?" domandò, dopo qualche minuto di silenzio. "Hai fatto il test?"
"Sì" sussurrai.
"Quando lo hai saputo?"
"Questa mattina"
Justin sospirò. Non sapevo cosa dirgli e lui non sapeva cosa dire a me.
L'orologio continuava ad andare avanti, il tempo trascorreva, ma noi non sapevemo cosa fare.Io ero spaventata e Justin anche. Non mi aveva detto nulla, ma potevo capirlo.
Mi avvicinai a lui e, finalmente, mi guardò.
"Quindi?" chiesi, cercando un briciolo di forza che solo i suoi occhi potevano darmi.
"Quindi cosa?"
"Che cosa facciamo?"
Sospirò e si sforzò di sorridere, ma non era un vero sorriso.
"Lo facciamo e basta. Affrontiamo questa situazione. È la scelta giusta, sicuramente"Rimasi sorpresa delle sue parole. Mi sarei aspettata una conferma da parte della mia proposta, ma non sapevo come dirglielo o almeno non dopo che lui rivelò ciò che pensava.
"Io..."
"Perché?" mi chiese, quasi sconvolto. Aveva sicuramente capito le mie intenzioni.
Mi alzai. Non reggevo di nuovo il suo sguardo, ma Justin faceva di tutto per far incrociare i nostri occhi.
"Ti prego, non dirmi che è quello che penso"
Senza volerlo, iniziai a piangere. Justin mi abbracciò e iniziai a piangere ancora più forte.
Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano e mi ripresi.
"Io non lo so, Justin. Pensavo di abortire"
Immediatamente, smise di stringermi. Scosse la testa più volte.
Dopo poco iniziò a ridere, ma non per la felicità. Una risata non è sinonimo di star bene o di allegria e ne ebbi la conferma in quel momento."Oh no, non lo farai. Non provarci neanche"
Mi avvicinai a lui, prendendolo per il braccio.
"Ma Justin, tu non capisci""No" mi interruppe subito. "No"
Sbuffò.
"Cazzo, Genesis. Non capisco come solo questa idea ti sia passata per la testa!" alzò il tono della voce. "Seriamente sei riuscita a pensare che io ti lasciassi fare una cosa simile?"Cercai di rispondere, ma non mi diede il tempo di farlo.
Cominciò a gesticolare, poi disse qualcos'altro, ma non lo ascoltai. Non riuscivo a reggermi in piedi, così mi sedetti.
Mi coprii il viso con la mano e chiusi gli occhi.
"Genesis"
"Genesis, guardami"
Tolsi la mano e Justin mi prese per il polso.
"Guardami negli occhi"Trovai il coraggio e lo feci.
"Saresti riuscita davvero a farlo?"
Mi morsi il labbro.
Sarei davvero riuscita ad uccidere quello che era mio figlio? Il mio bambino? Nonostante in quel momento fosse solo qualcosa che non somigliasse nemmeno lontanamente ad un essere umano? Sarei davvero stata in grado di farlo?
Perché avrei dovuto porre fine ad una vita nemmeno iniziata? Solo perché per me non era una cosa semplice da gestire? Perché non mi sentivo pronta a fare la madre?Avrei fatto finire qualcosa di assolutamente straordinario solo per una mia scelta. Avrei distrutto qualcosa che si era aggrappato a me volendo essere protetto.
Sarei davvero stata in grado di farlo?
Guardai Justin che aspettava ansioso la mia risposta.
Tirai un profondo respiro.
"No" sussurrai. "Non ne sarei stata capace"Piansi di nuovo. Mi era impossibile non farlo.
Justin mi accolse nuovamente tra le sue braccia. Cercò di calmarmi: mi fece sedere sulle sue gambe, continuava a dirmi che tutto sarebbe andato bene, ma non riuscivo a smettere di piangere."Gen" mi sussurrò all'orecchio. "Perché piangi?"
"Perché piango? Piango perché ho paura. Ho paura che qualcosa vada storto, ho paura di fallire"
"Dovresti smettere sul serio di pensare che ogni cosa che tu faccia sia destinata a essere sbagliata. Tu non fallirai"
"Come fai ad esserne così sicuro?"
"Lo so e basta. E anche se lo farai, rimedierai ai tuoi errori. Dai a te stessa una possibilità: non esigere sempre la perfezione in quello che fai. Puntare in alto è una cosa da fare, ma devi darti tempo. Si impiega del tempo ad imparare, tutti ne abbiamo bisogno, ma tu pretendi il massimo da te stessa immediatamente. Però non è così, Genesis"
Abbassai lo sguardo. Purtroppo, era esattamente così, allora perché negarlo?
Mi asciugai le lacrime e sorrisi.
"Hai ragione, Justin"Continuava ad accarezzarmi i capelli.
"Che ne dici di provarci insieme?" propose.
I miei occhi si illuminarono per la prima volta in quella giornata.
Adesso avevo la conferma che lui sarebbe rimasto e questo mi dava la forza di cui necessitavo.Annuii e mi baciò la fronte.
Justin aveva ragione e solo allora compresi il significato delle due parole. Quella era sul serio la scelta giusta.
Justin
Fu come cadere dalle nuvole. Una caduta di qualche migliaio di chilometri, per poi sbattere forte la testa.
Fu come camminare tranquillamente per la strada, per poi essere investiti da una macchina.
Fu come essere inghiottiti da un buco nero, cadere in una fossa, perdersi in una campagna per la troppa nebbia.
Ma, subito dopo, provai una sensazione completamente diversa, opposta a tutte le altre.
Mi sentivo come perso in un bosco di notte, magari con la pioggia. Però era qualcosa di strano, perché era come se io non mi fossi mai reso conto di essere in quelle condizioni fino a quel momento. Ero solo, terribilmente solo e destinato a trascorrere tutta la notte a cercare qualcosa in grado di aiutarmi. Cercavo la strada nel bel mezzo dell'oscurità, vagavo in cerca di essa nonostante non riuscissi a vedere nemmeno dove mettevo i piedi. Cercavo qualcosa che non sarei mai riuscito a trovare finché non sarebbe sorto il sole, finché non sarebbe arrivato il giorno. Forse allora sarei riuscito a trovare ciò che cercavo.
Quella fu la sensazione che guidò la mia scelta.
Il bivio che mi si presentava davanti gli occhi era perfettamente chiaro e non lasciava incompresioni.Avrei potuto, da un lato, scegliere la strada più comoda per le mie scarpe. Quella facile: non ti impegnava più di tanto la mentre. La stessa strada spensierata che un bambino percorre andando in un negozio di caramelle in una calda mattina di luglio.
Però, dall'altro lato, avevo davanti a me la via che mi portava in cima ad un'immensa montagna. Non sarebbe stato facile: sarebbe stata un'impresa mostruosamente impegnativa, ma il panorama che avrei potuto osservare avrebbe ricompesanto la fatica, i pianti e le ferite. In quella strada mi sarei fatto del male e sarebbe stata una corsa su una salita fatta di sassi scivolosi.
Non ero nemmeno sicuro che ne valesse la pena.Alla fine, scelsi la montagna.
Le cose più faticose ti danno una soddisfazione immensa.In fondo, quella era la scelta giusta.
Tornando a casa, mi misi a pensare a cosa avrei fatto il giorno dopo. Niente sarebbe più stato uguale. Sarebbe cambiato in meglio.
Avevo così tanti pensieri che mi frullavano per la testa, ma erano felici e non riuscivo a smettere di sorridere.
Talmente tanti pensieri che nemmeno riuscivo a distinguerli tra loro.Non riuscivo a pensare lucidamente. Sapevo solo che ero felice.

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Agorafobia; jdb
Fanfiction«L'agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fu...