36. La felicità ha il suo prezzo

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36. La felicità ha il suo prezzo

"Fa parecchio caldo oggi" constatò Angel appena arrivai sul luogo del nostro solito incontro pomeridiano estivo, davanti all'officina del vecchio Sam, un uomo prossimo alla pensione con una barba talmente folta da sembrare Babbo Natale.

"Già" le dissi iniziando a camminare verso la solita gelateria. Calciai un sassolino in mezzo alla strada, il quale finì in un tombino.

Per tutto il tempo nessuna di noi disse nulla. Angel era sempre stata una gran chiacchierona e difficilmente stava zitta a lungo, ma in quel momento sapeva benissimo che le parole avrebbero potuto solo peggiorare il mio stato emotivo.

Entrammo in gelateria e subito una temperatura piacevole ci avvolse. Ordinammo i nostri soliti gelati, pistacchio per Angel e fragola per me.
Quando uscimmo ci sedemmo su un piccolo tavolino accanto all'insegna della gelateria con un pinguino sorridente intento a mangiare un gelato gigantesco.

"Allora" borbottò Angel avvicinandosi a me. "Raccontami tutto"

Sospirai e per poco il cono gelato non mi cadde a terra.
"Io sono disperata, Angel! Non so più che cosa fare!"

Fece una smorfia, sistemandosi gli occhiali tondi.
"Che vuoi dire?"

Abbassai il tono della voce. In paese si conoscevano tutti e già troppe voci giravano riguardo la mia famiglia.
"Ha provato di nuovo ad uccidersi, ieri"

La ragazzina bionda sgranò gli occhi, incredula.
"E come è successo?"

"L'ha fermata mio padre" risposi, mentre le lacrime rigavano il mio viso senza che me ne accorgessi. "Aveva con sé dei farmaci"

Angel portò una mano sulla bocca. Un'anziana donna non smetteva di guardarmi ma quando incrociai il suo sguardo prese per mano un bambino e se ne andò.

"Non so più cosa fare, Angel, ti prego, aiutami"

Mi mise una mano sulla spalla.
"Gen, io non posso fare nulla. Vorrei, ma non posso. Credimi"

Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano.
"Hai ragione"

"Mi dispiace davvero tanto"

Guardai il gelato che tenevo in mano, indecisa se mangiarlo oppure no. Non volevo nulla in quel momento se non smettere di pensare.

"Che ne dici se domani andiamo a fare un bagno al lago? Giusto per distrarci, ti farebbe bene" propose l'amica sfoggiando un enorme sorriso.

Scossi la testa.
"Preferisco non lasciare sola la mamma"

Quando ci incamminammo verso casa mi tremavano le gambe tanto da non riuscire a fare nemmeno un singolo passo. Fui costretta a sedermi per qualche minuto su una panchina con le assi di legno. Su di essa si potevano distinguere scritte di tutti i tipi: da dichiarazioni d'amore a gruppi musicali e date.

Angel mi guardava preoccupata tutto il tempo.

"Un paio di giorni fa" dissi, "si era chiusa in bagno per ore. Diceva che stava parlando con Tanja"

"Tanja?" domandò la ragazzina.

"Era la nonna di mia madre. È morta poco prima che nascessi, me lo ha detto papà. Mia madre diceva di parlare con lei. Mi ero spaventata nel vederla in quello stato"

"Ci credo"

"Sembrava come se... come se fosse impazzita". Pronunciare quella frase mi costò tantissima fatica. Fu come ricevere una pugnalata. Nonostante lo sapessi, pensarci era più facile che ammetterlo.

Agorafobia; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora