8. Sono la rosa nera in mezzo a quelle rosse

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8. Sono la rosa nera in mezzo a quelle rosse

Lunghi minuti terribilmente imbarazzanti regnarono all'inizio.

Era una di quelle classiche situazioni frustranti: il primo incontro di due persone, quando esse sono ancora perfetti sconosciuti, obbligati a stare nello stesso luogo e obbligati dalle loro coscienze a scambiarsi almeno una parola.

Cercai per molto tempo nel mio immenso vocabolario delle parole, o meglio sarebbe ancora delle frasi, per porre fine a quella terribile situazione stracolma di imbarazzo.

Nonostante pensassi molte cose ogni giorno, nonostante nella mia mente viaggassero senza sosta continui pensieri, in quel momento neppure una frase sensata riuscii a dire.

Sperai intensamente che lui fosse un gran chiacchierone, solo così tutto poteva tornare sulla normale onda.

Quando tutte le speranze sembravano ormai perse, la sua voce roca e imbarazzata, anche se mai quanto la mia, ruppe il silenzio.

"Mi piacciono i tuoi capelli" disse pressando le labbra tra loro.

Mi portai una ciocca dietro l'orecchio e sorrisi.
"Grazie"

"Sono tinti?" continuò mettendosi dritto con la schiena.

"No" risposi "naturali"

Nonostante gli fossi grata di aver rotto quell'interminabile e frustrante silenzio, rimasi colpita dalla sua curiosità. Nessuno mi aveva mai fatto una domanda del genere, forse perché era anche alquanto bizzarra.

Il ragazzo continuò a fissarmi.
"Sai, non ho mai conosciuto una ragazza con i capelli rossi"

Lo guardai senza voler esprimere niente, anche se poi continuò a parlare come se avessi frainteso qualcosa del suo discorso.
"O almeno non naturali"

Annuii poco convinta.
"Che cosa ti piace fare?" mi domandò in seguito.

Mi schiarii la voce per non commettere altri errori imbarazzanti.
"Non è che rinchiusa qui dentro posso fare molte attività comunque di solito passo le giornate a disegnare e a cantare" risposi riacqiusrando un po' di sicurezza.

Justin mi guardò stupido, come se si aspettasse che nel tempo libero rimanessi a fissare un muro bianco e ad autocommiserarmi. D'altronde però non lo biasimai.

Molte persone credevano, compreso mio padre, che la mia vita fosse composta solo da tristezze e delusioni. Loro mi credevano così prevedibile, così triste e sola. Credevano di prevedere ogni mia mossa o di conoscere ogni mio pensiero, quando in realtà non era così.

"E tu?" chiesi per non essere scortese "tu che fai di solito?"

Il giovane scorrolò le spalle come per dire che nelle sue giornate non aveva un granché da fare. Rimasi stupita: nella sua vita perfetta non aveva nessun genere di modo per trascorrere il tempo libero.

"Dovrai pur avere qualcosa da fare. Un'attività secondo te più piacevole, un modo per passare il tempo" continuai, sperando di farlo parlare un po' di più.

Dopo quella frase, si alzò in piedi con aria saccente e mise la mani nelle tasche dei pantaloni.

"Frequento l'università" ammise.

Pronunciò quelle parole come se volesse sentirsi superiore. Forse credeva che io lo considerassi un uomo vissuto, uno che guarda tutti dall'alto al basso.

Il suo atteggiamento mi metteva ansia, oltre a farmi innervosire.

"Che ambito?"
"Medicina" rispose immediatamente, così sicuro di sé.

Justin sospirò. Sembrava così pieno d'alterigia e così pieno di sé.

Non riuscivo a capirlo.

Justin

"Di solito passo le giornate a disegnare e a cantare"

Genesis era così sicura di sé.
Sapeva benissimo quali erano i suoi scopi nella vita, le sue potenzialità e i suoi ostacoli.

"E tu invece?" mi chiese di rimando.

Per un attimo che a me sembrò un secolo, venni colto alla sprovvista.

Lei continuò a parlarmi, voleva scoprire più cose su di me. Forse credeva che la mia vita fosse interessante o altro, ma io non potevo fare al caso suo.

Le dissi che frequentavo l'università. Forse quella mia risposta la incuriosì: vidi i suoi enormi occhi marroni sgaranarsi, increduli.

Mi faceva sentire strano, impotente e non mi era mai successo.

Lei era strana, ma strana in un buono; diversa.

I suoi capelli rossi le ricadevano mossi sulla spalle. Era davvero la prima volta che vedevo una ragazza con i capelli così rossi e naturali.

"Hai mai pensato di tingerli?" le chiesi ancora. "Hai mai pensato di renderli di un colore totalmente diverso? Tinegerli di biondo o di nero, ad esempio"

Lei mi guardò in modo strano, con aria superiore, come se volesse dimostrare di avere più anni di quelli che aveva vissuto.

"No" rispose agitando le mani, "per l'amor di Dio, mai".

Sorrisi al suo modo di fare: passava dall'intimidirmi a farmi sentire un suo vecchio amico di scuola in meno di un secondo. Era davvero imprevedibile.

"Mi piacciono così come sono" disse infine spostandosi una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio. Notai solo allora che aveva degli orecchini enormi che facevano sembrare il suo viso ancora più piccolo e stretto di quello che realmente era.

"Poi proprio di biondo non li tingerei mai" affermò con convinzione.
Era proprio una gran chiacchierona quando si trattava di qualcosa che le interessava davvero.

"Non ti piacciono i capelli biondi?" le domandai, anche se la sua risposta era già abbastanza evidente.

Si alzò e mise le mani nelle tasche della felpa.
Fuori nevicava da ore. Se fossi stato solo nella stanza avrei perso ore ad immirare il panorama di Toronto innevata e pensare, pensare e pensare.

Lei scosse il capo.

Sorrisi leggermente.
"Che hai da ridere?" mi domandò con freddezza, facendo scomparire la spensieratezza che aveva riempito quel piccolo soggiorno.

Ripensai a tutte le ragazze che conoscevo: erano bionde. Tutte rigorosamente bionde, con i capelli color grano; non ci avevo mai fatto caso prima di allora.
L'unica donna che conoscevo davvero bene e con cui passavo dal tempo che non avesse i capelli biondi era mia madre.

Questa cosa mi fece diventare inquieto, ma nonostante i miei folli pensieri continuai il mio discorso.

"Il biondo dei capelli dovrebbe essere uno stereotipo femminile. Molte ragazze credono di essere più belle con i capelli biondi" dissi scrollando le spalle.

La rossa continuava a guardarmi. Percepii il suo odio nei miei confronti, in quel momento.

"Sai Justin" disse avvicinandosi a me "mettiamo una cosa in chiaro: io non sono così. Non sono come le altre, okay? A me non piace essere bionda come una bambola. Non mi piace essere sempre allegra, giocosa e sorridente. Non sono l'amica che tutti desiderano. Sono la rosa nera in mezzo a quelle rosse; a me dispiace per gli altri che mi devono sopportare, ma io sono così"

Era calma e tranquilla. Si mise seduta difronte a me, mi guardò negli occhi.

Appoggiò la sua mano, con le unghie dipinte di rosso, sulla sua gamba e continuò a guardarmi. Si morse il labbro.
"E io soprattutto non cambio per gli altri"

Genesis sospirò, ancora. Sembrava così piena d'alterigia. Così piena di sé ma allo stesso tempo così triste.

Non riuscivo a capirla.

Agorafobia; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora