14. Amici?
Alcune volte ho come la strana sensazione che lei sia sempre con me.
Che lei mi segua, ovunque. Ma no, non in senso buono.
A volte ho come l'inquietante sensazione che lei ci sia, ma non per proterggermi o altro, ma per non farmi scordare nemmeno per un secondo della mia colpa. Come se mi seguisse per ricordarmi che è solo colpa mia se lei non ci sia più.
Questa cosa avrebbe potuto iniziare a spaventarmi, o forse ero già spaventata.
Forse dovrei chiedere aiuto, pensai, ma a chi? Sono da sola, in fondo. Ci siamo solo io e il mio senso di colpa. E lei.
O forse no, continuai.
Devo soltanto capire che posizione prendere, che cosa voglio davvero.
Avevo la chiara idea di cosa volevo. Una cosa facile da realizzare per molti, ma una montagna da scalare per altri che, come me, non avevano niente.
Io volevo solo essere felice, non desideravo altro.
***
"Come stai Genesis?" mi chiese Justin entrando dalla porta.
I suoi capelli quel giorno erano più chiari del solito, eppure erano sempre gli stessi.
"Bene, grazie per avermelo chiesto" risposi.
"E tu?"
A quella frase si bloccò, come diventando di ghiaccio, per poi sorridermi dolcemente.
"Bene, grazie""Stavi dipingendo prima?" mi chiese ridacchiando.
Annuii lentamente.
"Sì, perché me lo chiedi?"Lui scosse la testa, ridacchiando ancora leggermente.
"Così" disse venendo vicino a me."Posso vedere i tuoi disegni?" mi domandò accennando un sorriso.
Sospirai e roteai gli occhi, volevo rimanere seria, eppure c'era qualcosa nel suo atteggiamento, qualcosa in Justin, che mi faceva venir voglia di tornare di nuovo bambina.
Non riuscii a non trattenere un sorriso.
"Perché ci tieni così tanto?" gli chiesi incorociando le braccia e ridendo.
Lui fece spallucce.
"Non lo so. Forse perché sono curioso, o insisente, o tutte e due le cose"."Tutte e due le cose" terminai io ridacchiando.
Lui rise, allora lo feci anche io, ma non capii il perché, però.
Forse una risata era davvero contagiosa, ormai non me lo ricordavo più.
Io e mio padre non ridevamo quasi mai, eppure in quel momento capii quanto davvero il sorriso di una persona facesse sorridere anche te, o perlomeno il suo.
Justin
Genesis aveva un bel sorriso, quello era vero. Quello era un buon passo per il nostro rapporto.
Quel giorno, per la prima dopo tanto tempo, Gensis si mostrò più sciolta nel miei confronti. Sapevo quanto fosse chiusa e, sinceramente, vederla almeno un po' spensierata era una cosa positiva.
"Vuoi davvero vedere i miei disegni?" mi domandò ancora.
Annuii per la millesima volta.
"Allora vieni con me"
Molto timidamente, mi prese leggermente il braccio, coperto solo da una felpa, per poi trascinarmi dietro di lei.
Attraversammo un corridoio, abbastanza buio e spoglio, per poi aprire una porta in un legno chiaro.
Aprì quella porta con molta cautela, come se stesse per farmi vedere il suo mondo, piccolo eppure enorme, custodito gelosamente, anche se il desiderio di condividerlo con qualcuno fosse forte.
Ero perfettamente consapevole che quel gesto, seppur semplice, era carico di significato. Era importante. Mostrandomi i suoi disegni mi avrebbe fatto conoscere anche un lato di sé, e lei lo sapeva meglio di me.
Appena entrai nella stanza notai quanto fosse luminosa rispetto alle altre. Era una stanza abbastanza grande, per il resto era una camera normale, come tante altre, ma una cosa che non passava inosservata erano, apparte il pianoforte sulla destra, tutti i numerosi ritratti, i quali raffiguravano solo ed esclusivamente uomoni o donne.
Sentivo i suoi occhi color cioccolato posati su di me e quando mi girai lei distolse lo sguardo.
"Che ne pensi?" mi chiese senza guardarmi, però. Era agitata: aspettava con ansia il mio giudizio.
"Sei davvero brava" le risposi, ed era vero.
Lei esitò nel rispondermi, poi sussurrò un timido "grazie"
Nei secondi successivi, regnò un silenzio, ma era diverso dal genere di silenzio che ci accompagnava prima. Quello, era un silenzio privo di imbarazzo, era invece colmo di sguardi.
Lei si appoggiò al muro.
"E adesso che il hai visti, dimmi la verità"Mi girai verso la rossa, non capendo che volesse dire.
"Te l'ha chiesto mio padre, non è così?"
Mi avvicinai a lei.
"In che senso, scusa?"Genesis sorrise. Vedevo qualcosa nei suoi occhi, qulcosa di diverso rispetto a prima.
"Te l'ha chiesto mio padre di essere gentile con me, non è vero? Te l'ha chiesto lui di interessarti a me?"
Sospirai dopo aver capito che intendeva.
Feci per parlare, però mi interruppe."Sii sincero, davvero. Non fa niente, non è colpa tua"
Il mio sguardo si posò sul ritratto di una donna con i capelli rossi. Assomigliava tantissimo a Genesis, ma non era lei.
Ebbi come la sensazione che quella donna fosse sua madre.Riportai lo sguardo su Genesis e notai nei suoi occhi della speranza e capii a cosa si riferisse quest'ultima.
"No, non me lo ha chiesto lui, se è questo che ti interessa" le risposi. La vidi studiare tutti i dettagli del mio volto in quel momento.
"Davvero?" continuò lei.
Annuii. "Davvero"
La sentii tirare un sospiro di sollievo, anche se capii che lei avrebbe voluto che non lo sentissi.
I suoi occhi erano tornati quelli di prima."Perché me lo hai chiesto?" le domandai, anche se sapevo benissimo quale fosse la risposta.
Non mi rispose, allora continuai io.
"Sappi che non lo faccio perché qualcuno me lo ha chiesto. Lo faccio perché mi stai simpatica e perché mi sembri una persona che ha bisogno di un amico, di un po' di aiuto e comprensione. Hai bisogno di qualcuno che ti stia ad ascoltare""Non ho bisogno della tua compassione, Justin"
"Non si tratta di compassione, credimi".
Genesis rimase in silenzio.Accennai un sorriso e lei fece lo stesso.
"Quindi" disse per poi fermarsi per un paio di secondi, "amici?"
Mi porse la mano, con le unghie laccate di rosso.
Le sorrisi e le strinsi la mano.
"Certo"

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Agorafobia; jdb
Fanfiction«L'agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fu...