44. Non c'è tempo per pensare
La mattina dopo nemmeno salutai mio padre. Non avevo neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
Avevo paura, avevo tremendamente paura. Avevo paura per tutto ciò che sarebbe successo, per tutto quello che sarebbe capitato a me e a Justin e per tutto ciò a cui stavamo andando incontro.
E se quella non fosse stata la scelta giusta? Se fosse stata solo un pensiero pazzo fatto da due ragazzi che cercano di capire cosa sia la vita? Se fosse stata solo la strada verso la mia completa distruzione e non verso quella che doveva essere una rinascita?
Quando Justin arrivò a casa mia mi sorprese a piangere. Odiavo quando Justin mi vedeva piangere, anche se in realtà odiavo quando qualsiasi persona mi sorprendeva in un momento di debolezza.
Mi sono sempre chiesta il perché di questo mio comportamento, ma probabilmente non troverò mai una risposta. In fondo, non c'è niente di male nel piangere, sopratutto se lo si fa con una persona a noi cara che in qualche modo può aiutarci.
Piangere è così liberatorio.
Le lacrime non sono sinonimo di debolezza, piangere non vuol dire non essere forti.Forse odiavo il fatto di piangere davanti agli altri solo perché ero così e basta. Molte volte avrei dovuto smetterla di farmi così tante domande alle quali non sapevo rispondere.
Justin vedendomi in quello stato mi abbracciò. In quel momento mi sentivo come un peso che lui doveva trasportare durante il suo cammino.
"Volevo solo dirti che se non te la senti possiamo anche trovare un'altra soluzione. Non voglio che tu ti senta obbligata a fare questo, voglio che tu lo faccia solo se lo vuoi davvero"
Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano e Justin si mise seduto. Sembrava fosse più preoccupato per la mia risposta che per ciò a cui stavamo andando incontro.
"Tu lo vuoi davvero?" domandò.
In realtà non lo sapevo nemmeno io se lo volevo davvero. Probabilmente ero così preoccupata perché era successo tutto troppo in fretta, prima che avessi la possibilità di rendermene conto.
Avevo sempre bisogno di organizzare le cose: dovevo pensarci sù per molto tempo, analizzare tutti i punti di vista e solo dopo agire. Non ero una temeraria o sprezzante del pericolo, ero esattamente il contrario. Avevo sempre paura di tutto.
Questa volta, però, non c'era tempo materiale per stare a riflettere. Serviva una risposta immediata, la quale avrebbe cambiato la mia vita.
Avevo troppi pensieri per la mente, non riuscivo a controllarli e Justin stava ancora aspettando una mia risposta.
Non c'è più tempo per pensare, dissi a me stessa. Justin non può più aspettare, il bambino non può aspettare e la vita non aspetta mai.
Mi misi seduta accanto a Justin, mi mancava l'aria e la testa mi faceva male.
Non sapevo esattamente cosa sarebbe successo se me ne fossi andata. Il mio futuro era come un disegno sbiadito e mi dava fastidio il fatto di non riuscire a capire cosa fosse.
Però, avevo le idee chiarissime su come sarebbe stata la mia vita se fossi rimasta lì. Sembra pazzesco, ma la consapevolezza dell'infelicità assicurata mi fece scattare in piedi come una molla. In quel caso, sarei rimasta così per sempre, in quella casa cercando di trovare un briciolo di luce che non esisteva più. Avrei perso Justin, avrei perso il mio bambino.
Solo in quel momento compresi che dovevo provarci, magari non sarebbe andato bene, ma ci avrei provato ugualmente.
Ero in un bivio: avevo davanti a me una strada che portava all'infelicità assicurata, consapevole di non poter far niente per cambiare la mia situazione. Dal lato opposto, avevo una strada totalmente sconosciuta, non sapevo cosa mi sarebbe capitato imboccandola, ma avevo una possibilità che fosse la strada per la mia felicità.
"Andiamo" esclamai. "Stiamo perdendo tempo, dobbiamo andarcene da questo posto"
Justin rimase molto sorpreso, ma era felice della mia scelta. Sapeva che fosse la cosa giusta da fare e in cuor mio ne ero consapevole tanto quanto lui.
***
Preparare tutto fu piuttosto impegnativo. Ci aveva occupato praticamente tutta la giornata e tra più o meno un'ora sarebbe tornato mio padre.
Pensai a qualcosa che avrebbe potuto servirmi, ma non mi veniva in mente nulla poiché avevo già preso tutto.
Sia io che Justin restammo in silenzio per una decina di minuti, finché non spalancò la porta.
"Andiamo?" disse Justin spezzando il silenzio che ci circondava.
***
Ci misi sicuramente abbastanza tempo ad uscire di casa, ma molto meno rispetto le altre volte.
Chiusi la porta alle mie spalle e non si sa per quale motivo mi misi le chiavi in tasca, come se un giorno dovessi ritornarci anche ero consapevole che non lo avrei fatto.Quando chiusi quella porta alle mie spalle provai come la sensazione di essermi liberata da un enorme macigno che portavo con me.
Cominciai a scendere le scale con Justin dietro di me e ad ogni mio passo sentivo di essere sempre più vicina alla libertà.Caricammo tutte le borse nella macchina e rimasi a guardare quel palazzo in silenzio. Quella era la casa in cui avevo deciso d'essere prigioniera per anni, la casa che mi faceva paura quando rimanevo sola perché era frustrante non sentire per ore alcun genere di rumore oltre al proprio respiro.
Quella era la casa nella quale avevo pianto e molte volte, anche se solo per qualche istante, avevo desiderato di morire. Quella casa era testimone delle mie sofferenze e di quanto mi sforzassi per trovare una ragione per svegliarmi la mattina successiva nonostante questa non esistesse.
Però, in quella casa avevo vissuto quella che era stata la mia rinascita. Nonostante lì avessi vissuto brutti momenti, avevo vissuto momenti che mi avevano cambiato la vita.
D'altronde se non fossi vissuta proprio in quella casa non avrei mai incontrato Justin.
Lo guardai appoggiare l'ultima borsa sul sedile posteriore e sorrisi. Non potevo farne a meno in quel momento.
Lui se ne accorse e mi chiede se stessi bene. Mi avvicinai lentamente a lui e lo baciai dolcemente sulle labbra."Non sono mai stata meglio in vita mia" sussurrai per poi baciarlo di nuovo.
Ripensai ai miei ultimi anni trascorsi in quella casa che sicuramente mi sarebbe mancata. Ripensai a cos'ero diventata e un profondo senso d'orgoglio mi avvolse.
Justin, risvegliandomi dai miei pensieri, mi disse che era giunto il momento di andare.
Dopo pochi secondi l'auto partì e dissi addio alla mia casa e alla mia vecchia vita.
Dissi addio anche a mio padre nonostante non lo volessi. Pensai alla mia lettera d'addio e immaginai lui trovarla. Immaginai mio padre leggerla e provai ad immaginare una sua reazione, ma non ci riuscii. Chiusi gli occhi e vidi solo un segno contro il muro accanto a lui e la sedia scaraventata a terra.
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Agorafobia; jdb
Fanfiction«L'agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fu...