13. La ragazza con i capelli rossi
Genesis
Le mie piccole e sottili dita si muovevano timidamente sui tasti del pianoforte.
Continuiai a premere i tasti per poi aumentare la velocità. In quel momento mi concentrai solo sulle note del pianoforte.
Mi fermai quando sentii la porta della camera aprirsi, rivelando la figura di mia madre. Subito chiuse leggermente la porta, in modo da non farsi vedere perché sapeva di essere colpevole della mia distrazione.
"Puoi entrare, mamma" le dissi ridacchiando. Sapevo che era rimasta fuori dalla mia camera, senza andarsene.
Lei entrò.
"Scusa tesoro" mi disse accarezzandomi leggermente i capelli. "Mi dispiace averti disturbata""Tranquilla, non fa niente" le risposi sitemandomi gli spartiti.
"Sei davvero brava" disse mettendomi le mani sulle spalle.
Sorrisi al suo complimento.
"Ti hanno insegnato a scuola questa canzone?"
Annuii guardandola.
"Ti va di suonarla da capo per me?"
Le risposi con un semplice e timido sorriso e lei si mise seduta vicino a me, aspettando di sentirmi suonare.
Fuori la neve cadeva senza sosta, quasi come se fosse l'ultima volta in grado di farlo. Ricopriva di bianco case, alberi, prati, macchine e riscaldava i cuori, o perlomeno riscaldava il mio.
Non me ne accorsi nemmeno che avevo già ripreso a suonare, sotto lo sguardo attento e fiero di mia madre.
Quando la canzone finì, lei mi lasciò un tenero bacio sulla guancia.
"Sei stata bravissima!" si congratulò alzando la voce.Mi limitai a sorriderle.
"Davvero Gen, sei bravissima" continuò, "continua così"
Poi uscì.
Non era vero, non ero stata per niente brava, avevo sbagliato quasi tutto, eppure non glielo dissi. Lei diceva così solo per incitarmi a continuare gli studi. Sapeva che io ci tenessi, voleva farmi vedere che il mio impegno stava dando i suoi risultati. O forse perché agli occhi di una madre tutto ciò che fai risulta qualcosa di straordinario.
***
Non potevo continuare a vivere nel rimorso. Non potevo continuare ad odirmi per non aver compiuto quel gesto che, quel giorno, avrei potuto compiere per salvarle la vita.
Eppure lo facevo.
Volevo fregarmene di tutto, correre via e smettere di pensarci, però non ci riuscivo.
Avrei voluto salvarmi, eppure ero la prima ad impedirmi di farlo.
"Papà?" lo chiamai avvicinandomi a lui. Si stava preparando per andare al lavoro, come ogni giorno.
Lui continuò a sistemarsi la cravatta, nemmeno degnandomi di uno sguardo.
"Che c'è?"
Mi morsi il labbro, anche se in realtà non volevo farlo.
Avrei tanto voluto chiedergli se secondo lui ero un'assassina. Se, secondo lui, se avessi fatto qualcosa lei sarebbe ancora viva. Se, secondo lui, era colpa mia.
Mio padre si avvicinò.
"Cosa volevi dirmi?" mi chiese guardandomi negli occhi.Sospirai. Era l'occasione che avevo per domandargli se, secondo lui, l'idea che avevo era corretta. Era l'occasione giusta.
"Genesis?"
È davvero come penso che sia, papà? È davvero colpa mia? Sono davvero io quella che ha il coltello dalla parte del manico sporco di sangue? Sono io quella colpevole? Sono davvero io quella che dovrebbe smettere di dormire la notte, divorata dal senso di colpa, che dovrebbe continuare a stare così? Sono sul serio io? Devo davvero meritarmi questo? Sono io l'assassina passiva che ha ucciso sua madre, però senza pistole o violenza ma con l'arma peggiore di tutte: il silenzio?
"Genesis, stai bene?"
La voce di mio padre mi fece smettere di pensare.
Alzai di nuovo lo sguardo su di lui.
"Si, sto bene"Iniziò ad infilarsi le scarpe.
"Allora" continuò, "che mi stavi dicendo?"Scossi la testa.
"Lascia perdere. Non ha importanza"Lui mi lasciò un leggerissimo bacio sulla fronte che quasi nemmeno sentii di ricevere.
"Allora a dopo"E uscì.
***
"Se davvero ci pensi, io non so niente su di te" dissi al biondo bevendo un sorso del mio caffè.
Anche lui stava bevendo, ma appena parlai smise di farlo e mi guardò.
"Si invece" ridacchiò.
"No, non è vero. Per niente vero" lo contrastai, "so che ti chiami Justin, che frequenti l'università e che i tuoi capelli sono biondi. Niente di più"
Sul suo volto comparve un mezzo sorriso, che, sinceramente, non riuscii a decifrare.
"Se è per questo neanche io so nulla di te" disse passandosi una mano tra i capelli. "Come hai detto tu, so che ti chiami Genesis, ami disegnare e cantare, anche se lo fai sempre per conto tuo, senza mostrare niente agli altri e che i tuoi capelli sono naturali, ma della vera te non so niente"
Ridacchiai.
"Questa era la mia domanda e la mia affermazione" dissi, "non puoi usare le mie parole contro di me""Se, ad esempio, volessi descriverti a qualcuno, queste informazioni basterebbero per fargli capire che sei tu?"
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma lui incominciò a parlare prima di me.
"Comunque la risposta è no" disse, ridacchiando ancora.
"No, sbagli. Potresti descrivermi in diversi modi, invece" azzardai.
Lui fece un sorriso sorpreso.
"Davvero? E cosa potrei dire su di te?""Potresti dire che sono una persona piuttosto solitaria" continuai grattandomi leggermente il collo, "oppure strana"
Lui non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo da me. Sentivo il suo sguardo bruciarmi addosso.
"Secondo me sai come definirmi" gli dissi ridacchiando.
Lui sorrise soltando.
"Potrei semplicemente parlare di te richiamando il fatto che hai i capelli rossi"Lo guardai confusa.
"Che vuoi dire?""Non lo so di preciso, so solo che adoro i tuoi capelli. Sono così differenti dagli altri, anche se non hanno niente di speciale, in fondo. Ma non lo so. Ti rendono diversa, in un modo o nell'altro. Molto probabilmente tu non te ne accorgi, ma è proprio così"
Annuii poco convinta.
"Se lo dici tu""Comunque lo so dove vuoi andare a parare Genesis"
"E dove?" chiesi a Justin sorpresa. In effetti non lo sapevo nemmeno io dove.
"Vuoi evitare tutte le mie domande sul tuo conto personale"
A quella frase mi bloccai di colpo, come se fossi stata ghiacciata all'istante: la sua constatazione era esatta.
Non sapevo davvero perché ci tenesse a sapere la mia storia. Eppure ero sicura che la sua non fosse una semplice curiosità.
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Agorafobia; jdb
Fanfic«L'agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fu...