37. Non pensare
Genesis
Mi misi il cappuccio in testa e corsi il più velocemente possibile per tutta la strada.
Pioveva fortissimo e tutti i miei vestiti erano zuppi.Madri con i loro figli correvano abbracciati sotto un ombrello per non bagnarsi troppo.
Le gambe mi facevano male e mi mancava il fiato, ma finemente arrivai a casa.
Aprii la porta e rimasi ferma un attimo a riprendermi dalla lunga corsa che avevo appena affrontato.
Quella era una bella giornata: avevo preso il massimo dei voti nel compito di francese e da lì a poco sarebbe stato il mio compleanno. Avrei mangiato la squisita torta al cioccolato che mamma mi preparava sempre il giorno in cui compievo gli anni. La faceva ogni anno, escludendo l'ultimo. Mi disse che non sarebbe riuscita a cucinarla, quella volta. Ma compresi la sua scelta, stava male.
Però, quest'anno speravo davvero che mi preparasse la torta. Lei me lo aveva promesso. Quando me lo giurò, piangeva, ma la mia mamma piangeva spesso.
Sentii la voce di mio padre in cucina e rimasi sorpresa di questo. Di solito all'ora di pranzo lui era sempre al lavoro.
Mi tolsi le scarpe e, sorridente, mi avviai verso di loro, pronta a condividere con i miei genitori la mia felicità.
"Porca puttana! Caroline, si può sapere che cazzo ti passa per la testa?"
Mi bloccai di colpo. Ascoltai tutto con attenzione, anche se non avrei dovuto. Poi quella conversazione mi avrebbe fatto star male per tutto il giorno.
"Quelle pastiglie le devi prendere, è chiaro? Non puoi fare sempre di testa tua!"
Lei piangeva.
La immaginai intenta ad asciugarsi le lacrime con quella felpa blu che ormai portava da fin troppi giorni."Adesso io devo andare in ufficio e sai cosa devi fare. Prendi le medicine, Caroline. Se non lo farai sappi che non ho alcuna intenzione di portarti alla mia cena di lavoro questa sera. Cosa penseranno tutti i miei colleghi vedendoti così?"
Corsi su per le scale. Non avevo alcuna intenzione di ascoltare una sola parola in più.
"Ci vediamo questa sera" sbraitò mio padre, sbattendo la porta.
Arrivai in camera mia. Quella solitudine era soffocante, anche se ormai avrei dovuto esserci abituata.
Calde e grosse lacrime mi rigavano il viso. L'atmosfera in casa nostra stava peggiorando a vista d'occhio.Smisi di piangere e ritornai in me.
Scesi le scale in silenzio, facendo credere a mia madre di essere tornata da scuola solo adesso.Mi appoggiai alla porta della cucina. Lei se ne stava lì, immobile, china sul tavolo. Non si era nemmeno accorta di me, ma io avevo ben notato il grosso e spaventoso coltello da cucina che era alla sua destra.
Si alzò, dandomi le spalle. Continuò a piangere in silenzio.Alzò la manica della felpa. Il mio sguardo si posò sulla profonda cicatrice che aveva sul polso. Risaliva a qualche mese fa. Quella fu la prima volta che tentò il suicidio.
Con l'altra mano prese il coltello e rimase a guardarlo per interminabili secondi.
Solo allora mi resi conto di star piangendo.
Feci qualche passo in dietro. La naturalezza prima di tutto."Ciao mamma! Sono tornata"
Sussultò e velocemente si sistemò la felpa.
"Bentornata" sussurrò priva di qualsiasi emozione.
Rimasi a guardare il coltello. Lo teneva ancora in mano. Quando si accorse di tutto ciò afferrò una mela dalla bacinella sul tavolo.
"Vovelo mangiare qualcosa. Qualcosa di sano" mentì.
Annuii nonostante lei capì tutto.
"Scusami. Andrò a riposare un attimo"
Imporsi a me stessa di sorridere.
"Certo, vai pure"Uscì dalla cucina e rimasi da sola.
Cercai nel frigorifero qualcosa di commestibile, ma non trovai nulla.Pioveva ancora e nel giardino c'erano parecchie pozzanghere.
"Comunque, oggi ho preso il massimo dei voti in francese. La Signora Moreau si è persino congratulata con me.
Questo pomeriggio ho la lezione di piano e mi chiedevo se magari saresti riuscita ad accompagnarmi visto che sta diluviando da ore, ma non credo sia possibile. Probabilmente non ti ricorderai nemmeno che la lezione è oggi. Ma fa niente. Fa niente anche se nemmeno quest'anno riuscirai a preparami la torta al cioccolato"***
Dopo che Justin se ne fu andato, quella notte riposai davvero benissimo. Quando mi svegliai tirai un sospiro di sollievo per non aver fatto nemmeno un incubo. Avevo dormito per parecchie ore.
Quella sarebbe stata una bella giornata, ma lo sentivo. Accesi il telefono e notai un paio di messaggi da parte di Justin. Si domandava come stavo. Gli risposi di stare bene e gli augurai tantissima fortuna per l'esito dell'esame di quel giorno, quel ragazzo meritava davvero di riuscire a realizzare il proprio sogno.
Aprii la finestra. Fuori c'era un sole caldo che con i suoi raggi migliorava ancora di più il mio umore; mi scaldava il cuore.
L'estate stava arrivando sul serio questa volta, avevano annunciato i meteorologi.
Immaginai quanto sarebbe stato bello poter andare per un po' di tempo, anche solo qualche giorno, in vacanza al mare con Justin. Avrei proposto io l'iniziativa e sperai che sarebbe stata ben accolta.Decisi che il giorno dopo sarei uscita di casa di nuovo. Ormai potevo farlo, ne ero in grado.
Quando mi voltai, mi accorsi di essere nella stessa identica situazione di ieri sera, quando immaginai mia madre.
Per un secondo rimasi immobile, ma subito dopo feci caso ad un piccolo particolare.
Come io l'avevo immaginata, ero stata in grado di mandarla via.Forse davvero bastava non pensarci. Alcune volte il cervello necessita solo di essere lasciato in pace, non di trovare la verità. Una verità che, nella mia situazione, non era nulla se non un folle caso creato da me stessa, nonostante mi identificassi come la colpevole. Colpevole di qualcosa che non era niente se non un ricordo. Un senso di colpa. Una morte non accettata.
E allora qual era il motivo che mi spingeva a puntarmi il dito contro, ancora?
Forse nemmeno non esisteva. Forse era abitudine. La quotidianità mi faceva ricordare cosa avessi perso. Ma davvero rovinarmi la vita sarebbe servito a qualcosa? Non avrebbe cambiato la situazione, né i fatti.Non potevo fare nulla, se non chiudere gli occhi e smettere di pensarci. Continuando per quella strada avrei solo finito per distruggere me stessa e una persona non può finire per cancellarsi da sola, almeno non io, o almeno non in quel momento.
In ogni caso, le persone pensano sempre. In ogni momento. Come fare, quindi, per smettere di pensare a ciò che ti fa star male?
Il tempo passa velocemente quando si sta bene, quando si è felici, quando ci si trova con le persone che si ama.
Circondati solo da chi ami, gli altri sono le ombre nel disegno. La vita è la tela e tu sei colui che le darà un significato. Puoi cambiarla: sei tu la persona che deciderà cosa fare con il suo disegno, puoi decidere tu se fare solo uno schizzo o un errore. Puoi trasformalo in un capolavoro.
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Agorafobia; jdb
Fiksi Penggemar«L'agorafobia è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fu...