Capitolo quattro.

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Subito dopo la "sveltina" alle 18:30 ero fuori la pizzeria. I minuti passavano e nessuno si faceva vedere. Sbuffai e guardai per l'ennesima volta l'orologio. 18:55. Venticinque minuti di ritardo, sul serio? Assurdo. Stavo quasi per andarmene quando una moto si fermò sul ciglio della strada. Che ci faceva Tomlinson lì? Corrugai la fronte quando il castano si avvicinò a me, con lo sguardo basso quindi ancora doveva notarmi. Prese delle chiavi dalla tasca e finalmente alzò lo sguardo. Sobbalzò e mi squadrò dalla testa ai piedi.

«Harry?» Annuii e lo guardai ancora più confuso quando con le chiavi aprì la porta della pizzeria. «Che ci fai qui?» Chiese, prima di entrare.

«Era tuo l'annuncio?» Sgranò gli occhi.

«Eri tu al telefono? Dio, che palle, anche qua devo sopportarti?» Sbuffò e scossi le spalle. «Entra. Spero che tu sia più bravo a fare una pizza che ad allentarti.» M'imbronciai e ridacchiò. Entrammo nella pizzeria e mi guardai intorno, mentre accendeva tutte le luci.

Non era molto grande, né molto piccola, c'erano infatti pochi tavoli. Era, però, accogliente. «Più che altro facciamo pizza a domicilio, rare volte vengono a mangiarsela qua. Mentre quelli che la vogliono a casa ne sono migliaia, quindi preparati perché non ti riposerai un attimo.»

«Mica gliela devo portare io?» Alzò gli occhi al cielo.

«Ma ti pare? Non puoi cuocere la pizza e portargliela a casa contemporaneamente. E non ci lavori solo tu qui dentro.»

«Quindi le porti tu?» Scoppiai a ridere e lui mi guardò malissimo.

«Senti, finiscila che potrei decidere anche di licenziarti ancora prima di assumerti.» Ritornai serio e scossi precipitosamente la testa. «Ora fammi vedere cosa sai fare con quelle mani.»

Oh sono davvero bravo con le mani, sai? Pensai, ma tossii per scacciare via quei pensieri poco innocenti. Quando lo seguii, camminando dietro di lui, non potevo non notare quanto fosse bello quel culo che si ritrovava, fasciato perfettamente in quei skinny jeans neri. Mi morsi il labbro e cercai di alzare lo sguardo, anche se quel sedere mi attirava a sé peggio di una calamita.

Entrammo in cucina e mi mostrò il forno, l'impasto e tutti gli altri ingredienti che mi servivano per poter fare una pizza. Mi fece segno di iniziare, sedendosi su un bancone con le gambe a penzoloni. Distolsi lo sguardo da quella visione e iniziai a stendere l'impasto, dandogli la forma di una pizza. Misi poi i vari ingredienti e subito dopo la misi in forno. «Chi ti dice che volevo una margherita?» Lo guardai e sbuffai.

«Potevi dirlo prima.» Scosse le spalle.

«Mh, mi accontenterò..basta che sia buona.»

«Lo sarà.» Gli sorrisi, e subito dopo controllai la pizza. Dopo pochi minuti era cotta, così la tirai fuori, presi un piatto largo e la misi sopra. Poi misi il piatto davanti al suo viso, e subito annusò, senza però fare alcuna espressione di stupore o di disgusto.

Prese il piatto dalle mie mani e lo poggiò sul bancone. Tagliò una piccola fetta e l'assaggiò, dopo averci soffiato sopra. Lo guardai mentre masticava e mi morsi il labbro, ansioso di sapere il verdetto. Deglutì e si pulì le labbra con un tovagliolo. Scese dal bancone ma non disse nulla. Corrugai la fronte e lo bloccai per un braccio, quando stava per uscire dalla cucina. Lo girai verso di me.

«Quindi?» Chiesi, mordendomi poi il labbro. Lui abbassò lo sguardo sulla mia mano, ancora poggiata sul suo braccio, e istintivamente l'allontanai.

«Vai bene, per ora. La paga è 100 dollari a sera.» Per ora? Che diavolo voleva dire? Gli era piaciuta si o no quella dannata pizza? Sbuffai, quando uscì definitivamente dalla cucina, senza aggiungere altro.
Alle 19:30 la pizzeria aprì e non a lavorare lì c'erano altri due ragazzi, Josh, che si occupavano delle consegne come Tomlinson -ancora non sapevo il suo nome, presto gliel'avrei chiesto- e l'altro, Dan, insieme ad Ariana, facevano da camerieri ai clienti che decidevano di mangiare in pizzeria.

Tomlinson aveva ragione quando disse che erano molte di più le chiamate che ricevemmo dai clienti che desideravano farsi portare la pizza a casa, che i clienti che venivano a mangiarla direttamente lì. E aveva ragione anche quando mi disse che non avrei avuto un momento di pausa.

Erano le 00:20, mancavano dieci minuti alla chiusura, e stavo sudando perché dalle 19:00 non mi ero allontanato un attimo dal forno. Quando misi le ultime due pizze in forno, presi un tovagliolo e mi asciugai il sudore. Nonostante fosse Gennaio, e nonostante mi legai i capelli in un codino, si moriva di caldo là dentro. Fortuna che avevo avuto la brillante idea di indossare una t-shirt.

«Pronte?» Sobbalzai e puntai lo sguardo su Tomlinson, annuendo. Tirai fuori le due pizze e le misi negli scatoli. Lui li chiuse e li diede a Josh, l'altro ragazzo addetto alle consegne. «Dopo vai a casa, Josh.» Il ragazzo annuì, salutò entrambi con la mano e se ne andò. Gli altri due, Dan e Ariana, se n'erano già andati.

«Come ti è sembrato il primo giorno?»

Sorrisi, uscendo insieme a lui dalla cucina, dopo aver pulito tutto. Aria, finalmente. «Stancante, direi.»

«Allora è andato bene.» Rise e scossi la testa, sempre col sorriso sulle labbra.

«Corri stasera?» Chiesi, indossando il cappotto, senza sciogliere i capelli. Lo avrei fatto una volta tornato a casa.

Scosse la testa. «Domani.» Annuii.

«Senti ma..posso sapere il tuo nome? So soltanto il tuo cognome, e non mi sembra corretto chiamarti con quello.»

«Non vedo perché tu debba conoscere il mio nome.» Sbuffai e roteai gli occhi. Uscimmo e chiuse la porta a chiave.

«Andiamo, la smetti di essere così antipatico con me senza motivo?»

«Se mi stai antipatico a pelle non è colpa mia.» Si girò verso di me e scosse le spalle, sorridendo a labbra chiuse.

«Ma se ci conosciamo da due giorni..»

«Devo ricordarti il modo in cui hai cercato di rimorchiarmi?» Arrossi e abbassai lo sguardo per qualche secondo, schiarendomi la voce.

«Non ti stavo rimorchiando. Era semplicemente un pretesto per parlarti.»

Scoppiò a ridere. «Si, credici. Buonanotte.»

Sospirai. «Notte.» Si avvicinò alla sua moto e si mise il casco, mentre io iniziai a camminare sul marciapiede, con entrambe le mani dentro le tasche del cappotto.

«Ehi, sei a piedi?» Mi fermai e mi girai verso di lui, annuendo. Lo vidi tentennare, poi sospirò, prese un casco e lo allungò verso di me.

«Dimmi dove abiti. E non farmene pentire ringraziandomi o facendo battutine.» Risi. «E nemmeno ridendo.» Tornai immediatamente serio, mordendomi il labbro per non ridere nuovamente e mi avvicinai. Presi il casco tra le sue mani, lo indossai, e mi misi dietro di lui. Partì subito e ancorai istintivamente le mie mani ai suoi fianchi, stringendoglieli perché giudò come un pazzo, andando ad una velocità inaudita. Non avevo paura, perché sapevo che guidava da dio ed era attento a tutto..mi sentii protetto, in realtà. Inoltre, lo strinsi quanto più forte potessi, per imprimere la linea di quei fianchi perfetti nelle mie mani, così da ricordarmene. Gli urlai la strada all'orecchio, sovrastando il rumore allucinante che emetteva quella splendida moto.

Arrivammo in poco tempo fuori casa, e scesi il più lentamente possibile, controvoglia. Tolsi il casco e glielo porsi. Lui, alzandosi, lo rimise nella sella, poi si risedette.

«Beh graz..»

«Domani mattina puntuale.» Sgranai occhi e bocca. Cosa?! Voleva rivedersi all'alba per gli allenamenti?

«No, sei impazzito? Sono stanchissimo sia per l'allenamento di stamattina sia per il lavoro. Dovremmo spostare l'orario degli allenamenti, se non vuoi farmi morire.»

«Quello è il mio scopo. E non sposteremo proprio nulla. Sii puntuale.»

«Ma pensa anche a te, no? Non riuscirai mai a venire così pre..»

«Louis.» Lo guardai confuso, corrugando la fronte, non capendo e non potendo nemmeno chiedergli spiegazioni perché sfrecciò via velocemente.

Lui? Che cazzo voleva dire? Scossi le spalle, sospirai ed entrai in casa.

Feci una doccia veloce e andai subito a letto. Misi, sfortunatamente, la sveglia alle 5:30 –avevo 4 ore e mezzo per dormire- e mi addormentai subito.

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