Capitolo ventotto.

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«Che cazzo stai combinando?!» Sbottò Louis appena chiusi la porta dell'ufficio e mi sbatté con prepotenza contro questa, con le mani a stringermi il colletto della camicia da lavoro. Fui sorpreso da quel suo gesto, infatti sgranai gli occhi e poggiai le mani sui suoi polsi per allentare la presa, dato che stava stringendomi il collo un po' troppo forte e ciò mi impediva di respirare regolarmente.

«L-louis!» Ansimai in cerca di ossigeno, e vedendo ciò allentò di poco la presa ma comunque non la lasciò. E il suo sguardo incazzato era sempre lì, a fissarmi duramente.

«Ripeto, che cazzo stai combinando?»

«Posso sapere di che stai parlando?» Gli urlai in faccia, avvicinando di più il viso al suo. Ciò lo fece incazzare probabilmente ancora di più perché mi tirò a sé e poi mi sbatté nuovamente contro la porta, facendomi mugugnare di dolore e strizzare gli occhi. La mia povera schiena!

«Sai di che cosa sto parlando, non fare il finto tonto.» Riaprii gli occhi e lo guardai a bocca dischiusa, confuso, non sapendo davvero di cosa stesse parlando. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, per non sbottare nuovamente. «So che prendi droghe.» Mi guardò e sgranai gli occhi.

Deglutii e scossi la testa. «Cosa?! Che cazzo dici?» Cercai di mostrarmi tranquillo ma le mani, ancora poggiate sui suoi polsi, iniziarono a tremare così come il respiro, e il cuore prese a battermi velocemente.

«Non sai mentirmi, lo sappiamo entrambi.»

«Louis, non è vero. Non..non prendo un cazzo, sei impazzito?!»

Roteò gli occhi. «E perché stavi per morire disidratato pochi minuti fa? E perché tremavi? E perché il tuo cuore batteva all'inverosimile? Non si trattava di un attacco di panico, lo so io e lo sai anche tu. Malesseri come quelli li ho visti mille volte in vita mia, ormai. Perciò, non prendermi per il culo o giuro su Dio che ti ammazzo con le mie mani.» Deglutii e distolsi lo sguardo dai suoi occhi. Boccheggiai, incapace di dire qualcosa.

«Parla, porca puttana!» Urlò e sobbalzai, portando gli occhi nuovamente nei suoi. «Stavi per morire, lo capisci?!» Continuò ad urlare, e volevo pregarlo di abbassare la voce perché poteva sentirci chiunque. Abbassai di nuovo lo sguardo. «Guardami, codardo.» Abbassò di poco il tono di voce e fui costretto a guardarlo. Seguirono lunghi minuti di silenzio in cui i nostri occhi non smettevano di specchiarsi in quelli dell'altro. Fu lui, poi, a spezzare il silenzio. «Perché lo fai?» Domanda semplice, risposta complicata.

Scossi le spalle. «Non lo so nemmeno io.»

«Stronzate.»

Sospirai. «Molto probabilmente per dimenticare..cose.» Mi morsi il labbro inferiore, distogliendo gli occhi dai suoi.

«Stai facendo una cazzata, lo sai?»

«Che t'importa?» Lo guardai di nuovo, corrugando la fronte.

«Non m'importa, infatti.» Sciolse del tutto la presa, allontanandosi ma senza staccare gli occhi dai miei. «Ma importa a Niall. E Niall è anche mio amico, non voglio vederlo stare una merda per colpa di uno come te.»

«Uno come me?»

«Uno come te.» Non aggiunse altro. Mi guardò con disprezzo e mi fece segno di spostarmi perché la mia schiena era ancora poggiata alla porta e ciò gli impediva di uscire. Non mi spostai. «Ti sposti?!» Si accigliò, e scossi la testa.

«Facciamo un patto.» Mi guardò alzando un sopracciglio.

Incrociò le braccia al petto. «Sentiamo.»

«Domani quando finisco il turno, ci sfidiamo in una gara.»

Ghignò. «E qual è il patto?»

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