Capitolo uno

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"Hey. Scusa, è libero?"

Un ragazzo sui diciotto indica il posto di fianco al mio distogliendomi dai miei pensieri.

Mi riscuoto dallo stato di trance e annuisco, poco convinta.

"Certo." Rispondo ad occhi bassi, trascinando la borsa appoggiata a terra sopra ai miei piedi e girandomi nuovamente verso il finestrino, pronta a riprendere da dove ero stata interrotta.

Mi è impossibile, però, ritrovare il capo della matassa aggrovigliata che sono i miei pensieri. La sua presenza, concreta contro il mio maglioncino in lana, mi rende difficile riuscire a concentrarmi.

Riesco a scorgerlo con la coda dell'occhio, intento a fissarmi. Le labbra rosee leggermente schiuse, come se fosse sul punto di dire qualcosa, il naso incurvato all'insù e gli occhi di ghiaccio quasi spalancati.

Sospiro rassegnata, ma all'erta, cosciente di ogni mio movimento, di ogni mia parte del corpo: dal ciuffo che mi solletica la fronte alla mano appoggiata in grembo, con le dita richiuse voltate verso di me.

Non sono mai stata incline alle persone.

"Sai, ho letto da qualche parte che gli sconosciuti parlano del tempo."

Mi giro verso di lui, colta di sorpresa nel sentire di nuovo la sua voce profonda solleticarmi i timpani, e lo guardo interrogativa.

"Quindi?"

"Be', forse dovremmo. Parlare del tempo, intendo."

Lo osservo, temendo che mi stia prendendo in giro, ma non c'è divertimento nei suoi occhi di ghiaccio, solo sincera, destabilizzante serietà.

Annuisco rimpiangendo di non essermi portata le cuffiette per poter almeno fingere di ascoltare la musica e ignorare chiunque.

"È una bella giornata." Ricomincia lui.

"È nuvoloso. Sono giorni che non si vede un raggio di sole, è già un miracolo che non stia piovendo." Ribatto.

Silenzio.

"A me piace, la pioggia. È come se il mondo piangesse i suoi peccati, sapendo di non poterli cancellare."

Mi stringo nelle spalle. "Per essere una visione della condensazione, è piuttosto poetica."

"Faccio del mio meglio." Un angolo delle labbra del ragazzo si incurva verso l'alto in un sorriso poco convinto.

Mi volto verso il finestrino di nuovo, questa volta guardando le nuvole, immaginandole cariche di pioggia, e quasi non mi accorgo della strada familiare in cui ci troviamo.

"Questa è la mia fermata." Spiego alzandomi in piedi e appendendo la tracolla della borsa ad una spalla.

Cerco di evitare il contatto fisico mentre scavalco le sue gambe per raggiungere il centro dell'autobus e solo quando mi trovo nello stretto corridoio mi accorgo di aver trattenuto il respiro.

Faccio per andarmene, ma all'ultimo momento mi volto.

"Comunque, era Tom Waits. A dire che gli sconosciuti parlano del tempo, sai." Non so nemmeno perché ho sentito il bisogno di dirlo.

Lui mi guarda. Sorride.


***




Innanzitutto, vorrei ringraziarvi per essere arrivati fino alla fine di questo breve capitolo. Grazie per aver aperto la storia dando una possibilità alle mie parole.

Ringrazio Nerdyna per la fantastica cover e WibblyWobbly_Stuff11 per l'altrettanto stupendo banner. Un "grazie" speciale anche a UselessItalian per avermi sostenuta a incoraggiata a continuare a scrivere.

Detto questo, vorrei cominciare definendo questa storia una sorta di esperimento. Ho voluto provare ad utilizzare uno stile più asciutto e diretto, maggiormente scorrevole alla lettura. Spero di avervi intrattenuti adeguatamente e avervi incuriositi quel poco che basta per aggiungere la storia alla libreria in attesa di un secondo capitolo.

Non vi ruberò ulteriore tempo. Spero abbiate apprezzato queste prime righe tanto da lasciare un voto se lo credete meritato o un commento per farmi sapere cosa ne pensate, in modo che possa migliorare fino a poter soddisfare pienamente le vostre aspettative.

Un'ultima richiesta per un sondaggio: come avete trovato questo racconto? (Suggerito da un'amica? Fra i consigliati di Wattpad?) Rispondete nei commenti!

Sperando che non abbandoniate la storia così presto,

That_Ravenclaw_Girl

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