Mi sveglio di soprassalto, spaesata nel vedere la parete verde chiaro davanti a me e la luce fredda filtrare dalla grande finestra che occupa quasi l'intero muro.
Mi ci vuole un po' per riconoscere l'ambiente ordinato in cui mi sono risvegliata, ma quando capisco di trovarmi nella camera di Oliver gli avvenimenti della notte scorsa mi colpiscono come un pugno nello stomaco, mi tolgono il fiato.
Sento la gola annodarsi e gli occhi pizzicare per le lacrime, ma faccio del mio meglio per trattenermi. Lentamente mi siedo guardandomi intorno. La stanza sarebbe vuota, pulita se non fosse per la mia silenziosa presenza.
Vedo il mio riflesso fissarmi dalla grande anta dell'armadio di fianco al letto e solo ora mi accorgo di avere un grande maglione grigio sopra al solito pigiama. Non ricordo di averlo indossato, non ricordo nulla, se non di essere salita su una Nissan blu davanti ad una fermata del bus, nel pieno della notte.
I capelli sono scompigliati e appiccicati alla fronte e alle guance, come se avessi dormito sul bagnato e miei occhi sono rossi e gonfi. Devo aver pianto.
Lentamente mi alzo. La moquette calda mi solletica le dita dei piedi mentre cauta esco dalla stanza.
Mi chiedo cosa penserà ora la madre di Oliver.
Individuo la pota del bagno, socchiusa, e mi precipito dentro girando la chiave nella toppa, timorosa di essere vista in queste condizioni.
Ci metto più del dovuto a raccogliermi i capelli e sciacquarmi la faccia, forse per la paura che Oliver, vedendomi, ritorni sui suoi passi e decida di rispedirmi a casa.
La maniglia della porta si gira con un acuto cigolio e la voce del ragazzo arriva ovattata quando si accorge di non poterla aprire: "Scusa!" si giustifica con tono imbarazzato. Poi, come se gli ci fosse voluto un po' per realizzarlo, "Janie, sei tu?" domanda.
"Sì."
"Ti andrebbe di aprire la porta?"
"No."
"Tanto lo so che ti stai fissando allo specchio con occhi persi. Non mi importa cosa pensi, lo sai che per me sei bellissima."
"Hai così tanto bisogno di andare in bagno?" ridacchio senza sapere da dove arrivi questa improvvisa voglia di scherzare.
Sento ridere anche lui. "Non immagini quanto!"
Mi avvio alla porta, scuotendo la testa, e la apro.
Lui è lì, a pochi centimetri da me, appoggiato allo stipite.
"Hey." Mi saluta con un sorriso caldo. "Buongiorno." Mi accarezza delicatamente il viso con il pollice, come se dovesse tirare via una ciglia caduta sulla mia guancia, come se dovesse asciugare una lacrima non ancora versata, ma che sa vedrà presto.
"Giù c'è il the ancora caldo. Mia madre ha preparato i biscotti stamattina. Non fare quella faccia mortificata, le ho detto che ti piacciono ed è stata felice di avere una scusa per mettersi ai fornelli."
Sorrido.
"Vai, ti sta aspettando. Io arrivo fra dieci minuti, giusto il tempo di una doccia." Mi fa l'occhiolino prima di entrare in bagno chiudendo la porta.
Scendo lentamente le scale, trovando sua madre seduta al tavolo della cucina con un libro fra le mani.
"Buongiorno, signora Dawson." Saluto timidamente muovendo un passo incerto nella stanza che profuma di biscotti. La donna alza velocemente la testa.
"Jane!" esclama abbandonando la lettura ed avvicinandosi a me. "Puoi chiamarmi Martha, te l'ho già detto." Mi sorride cordialmente, gli occhi blu come quelli del figlio.
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Weather Talks
Short Story"Gli sconosciuti parlano del tempo" *~*~* Highest rank: #53 in Short Story