12. A dieci passi da te

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ELEANOR

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ELEANOR

Ryan mi ripeteva spesso quanto fossi sconsiderata e incurante del pericolo, a volte. Ero da sempre un soggetto particolarmente timoroso, non si poteva di certo dire che fossi coraggiosa, eppure capitava che mi infilassi in situazioni dal finale dubbio senza nemmeno accorgermene.

Invitare uno sconosciuto in casa mia rientrava in quelle situazioni.

Come diamine mi era venuto in mente di invitare Hunter a salire? Avrebbe potuto rivelarsi un serial killer, un deviato con qualche strano istinto, e io gli avevo spalancato le porte del mio luogo sicuro.

Ed era questo a cui pensavo mentre mi vestivo di tutta fretta all'interno della mia cabina armadio, dopo aver chiuso la porta della mia camera da letto con una doppia mandata di chiave.

Indossai un semplice paio di jeans a sigaretta, una camicia blu e un paio di décolleté di Louboutin che mi erano stati regalati per il mio precedente compleanno da Ryan. Acciuffai una borsa blu e, prima di uscire dalla mia stanza, presi il cacciavite.

In realtà non credevo che Hunter fosse capace di farmi del male, il mio istinto mi suggeriva che fosse innocuo. E infatti, lo trovai stravaccato sul mio divano, tra le mani un libro che avevo cominciato a leggere due notti prima e che avevo lasciato sul tavolino da caffè. Quando si accorse della mia presenza, abbassò il libro e mi squadrò dalla testa ai piedi. C'era uno strano bagliore nelle sue pupille scure, che spiccavano sopra le iridi verdi, gremite di qualcosa che mi fece prudere la pelle del viso. Sperai di non essere arrossita.

I suoi occhi, poi, scivolarono sul cacciavite stretto nel mio pugno. «Se avessi voluto ucciderti, l'avrei fatto in ascensore», commentò, con tono annoiato. «No, ti avrebbero scoperto prima.»

Mi avvicinai all'altra borsa che avevo lasciato sul tavolo della cucina e trasferii le cose essenziali in quella blu. Hunter si alzò dal divano e ripose il libro dove l'aveva trovato, poi mi raggiunse e si piazzò al mio fianco.

«Devi portarti appresso anche quel dannato cacciavite?» chiese, palesemente divertito.

Forse ero davvero ridicola. E comunque all'interno della borsa custodivo sempre uno spray al peperoncino. Okay, forse ero semplicemente paranoica la maggior parte del tempo, ma siccome vivevo da sola e mi spostavo quasi sempre da sola, tra metropolitana, bus e taxi, la prudenza non era mai troppa.

Lasciai il cacciavite sul tavolo e indicai la porta a Hunter. «Dopo di te», lo incitai.

Lui mi precedette e, prima di uscire, presi il cappotto nero appeso vicino alla porta.

Durante il tragitto di ritorno, dovette fermarsi per fare un veloce check-in a uno dei magazzini per assicurarsi che tutto il materiale fosse arrivato poiché Bill gli aveva chiesto di farlo il giorno prima, e io ne approfittai per prendere due caffè d'asporto in una caffetteria lì accanto. Litigammo per la musica da ascoltare e, quando Hunter parcheggiò l'auto, stavamo ancora battibeccando.

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