39. Graveyard

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ELEANOR


«Tornate presto, mi raccomando.» Mia madre si sarebbe presto procurata una dislocazione al gomito se non avesse smesso di sbracciarsi per salutarci.

«Volentieri, signora Roberts», le rispose Hunter, mentre io tenevo aperto il piccolo cancello in ferro che delimitava il giardino della villetta dei miei genitori in attesa che la smettesse di fare le fusa a mia madre.
«Sei patetico», borbottai quando mi superò.

Si fermò a guardarmi, gli occhi verdi leggermente sgranati in uno sguardo di finta innocenza. «Che cosa ho fatto?»

«Questa casa è bellissima, signora Roberts. Oh, questo giardino è davvero spettacolare. Buonissimi questi biscotti. Mia madre è una sua grande fan», lo scimmiottai, cercando di imitare il tono profondo della sua voce roca. «Hai praticamente fatto il cascamorto con mia madre e mia nonna.»

Hunter scoppiò a ridere, e io approfittai di quel breve lasso di tempo per salutare con la mano mia madre e mia nonna, ferme sul patio della villetta. Papà aveva accompagnato nonno a una visita medica di routine, perciò non erano presenti. Tuttavia, ero sicura che Hunter sarebbe stato capace di affascinare anche loro senza alcuno sforzo.

«Non è colpa mia se riesco ad ammaliare donne di qualsiasi età. E poi ho detto solo la verità.»

Storsi il naso a quell'affermazione e gli diedi una leggera spinta per incitarlo a muoversi. Mio malgrado, era vero. Era stato capace di stregarle in un battito di ciglia. Era come se si fosse trasformato, non appena avevamo varcato la soglia della villetta dei miei genitori, spogliandosi di quella boria che tanto detestavo per indossare gli abiti di un perfetto gentiluomo in carriera.

E poi c'era quel piccolo e innocuo particolare della sua bellezza, che ero sicura non fosse sfuggito né a mia madre né a mia nonna, che per tutto il tempo mi avevano lanciato occhiate eloquenti. Sapevo cosa fosse balenato loro nella testa, e io mi ero premurata di specificare più volte che ci trovavamo lì per affari e non presentazioni ufficiali.

«Mia madre farà i salti di gioia», annunciò Hunter, sventolando una copia della prima tiratura di uno dei libri scritti da mia madre. Non appena lui aveva detto quanto la madre adorasse i suoi libri, lei si era premurata di regalargliene uno con tanto di dedica personalizzata e autografo.

Salimmo in auto e Hunter accese il motore. Fuori era già calato il buio e le temperature erano scese con esso.
«Lo porterai con te a Londra?» chiesi, facendo un cenno verso il libro.

Lui me lo appoggio sulle gambe, poi lasciò il parcheggio. «No. Mia madre verrà a New York tra qualche settimana.»

«Davvero?»

Annuì. «Ha nostalgia, o qualcosa del genere. È passato tanto tempo dall'ultima volta in cui ha messo piede a Manhattan.»

«Non è più stata a New York per... tuo padre?»

«Credo di sì. Oppure perché non ne ha mai sentito la necessità, non saprei.»

Si era all'improvviso incupito, come se la sola idea che la madre fosse in procinto di tornare a New York non lo aggradasse. «E a te non sta bene che lei torni a Manhattan?» chiesi di slancio.

«A me sta bene ciò che sta bene a lei. Però non mi fa impazzire l'idea che riveda Bill, e sicuramente sarà una cosa inevitabile.»

«Non vuoi che si incontrino?»

Mi guardò un attimo prima di riprendere a fissare la strada che stavamo percorrendo. «No.»

«Perché?»

Ci mise un po' a rispondere, forse perché non era sicuro di volersi aprire proprio con me, però alla fine qualcosa lo spinse a parlare. «Non si vedono da tanto. Si sentono telefonicamente per questioni che riguardano me e i miei fratelli, questo sì, ma so che non si vedono dal periodo del divorzio. E... non lo so, probabilmente è un pensiero ridicolo, ma considerando che mio padre non ha mai accettato pienamente il divorzio, non so quanto vedersi possa giovare alla situazione. Per mia madre, non per lui, ovviamente.»

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