18. Midori Sour

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ELEANOR

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ELEANOR

Mi ero pentita di aver accettato l'invito di Kim prima ancora di realizzare dove mi stessi per imbarcare con quelle azioni sconsiderate degli ultimi giorni. Perfino scegliere un vestito non era stato semplice: avevo messo a soqquadro il mio intero guardaroba, passato ore a provare abiti più o meno elaborati o succinti, finché una vocina nella mia testa mi aveva suggerito con una certa convinzione il desiderio di indossare qualcosa che non mi rendesse anonima. E sapevo che ogni mia decisione era dettata da quello strano gioco al gatto e al topo che sembrava si stesse consolidando tra me e Hunter, e se a lui pareva giusto giocare sporco riducendo la distanza tra di noi ogni volta in cui ne aveva l'occasione, non c'era motivo per il quale non dovessi giocare più sporco di lui.

Così, avevo optato per un tubino che a malapena mi copriva le cosce, abbastanza aderente da farmi pensare che forse avrei dovuto trattenere il respiro per tutta la serata, ma quantomeno di un colore che si abbinava al desiderio della mia rivalsa su di lui: rosso.
Tuttavia, quando entrai nel taxi, già occupato da Kim e Alyssa, la voglia di tornare nel mio appartamento e buttarmi sotto le coperte mi spinse a piagnucolare un: «Voglio tornare a casa», che fece raccogliere su di me gli occhi delle due.

«No. Smettila», mi ammonì Kim, chiusa in un cappotto scuro. Era seduta esattamente al centro, tra me e Alyssa, nei sedili posteriori. «Oggi ci divertiremo.»

«Questo è tutto da vedere», brontolò Alyssa, dopo aver spostato lo sguardo verso il finestrino vicino a sé.

«Hunter non rovinerà la serata. A nessuna delle due», enunciò Kim.

«E questo cosa te lo fa credere?» la pungolai.

«Perché altrimenti gli strapperò io stessa i capelli. Uno a uno.»

Alyssa scoppiò a ridere, e nemmeno io riuscii a trattenermi e la seguii a ruota. Mi dovetti ripetere, per tutto il tragitto fino al locale, che stavo facendo quel piccolo sacrificio per Kim, dato che ormai potevo considerarla una mia amica, ma sapevo che in realtà una piccola parte di me aveva accettato di buon grado per altri motivi. Non sapevo quali, non volevo nemmeno indagare per conoscere il motivo per cui sentissi quel continuo fremito sfarfallarmi dentro.

Il tassista ci lasciò proprio davanti all'entrata principale e realizzai con estremo sollievo che non vi era fila fuori. Varcammo la soglia del locale, Kim davanti e Alyssa e io subito dietro, e mi presi un momento per guardarmi attorno. Era a tutti gli effetti una discoteca e, benché non fossi amante di quel genere di luoghi, cercai di rilassare i nervi tesi concentrarmi sui giochi di colori che si rincorrevano lungo le pareti.

Lasciammo i cappotti nel guardaroba e ci dirigemmo verso il bancone, dietro il quale due ragazzi servivano bevande.

«Saranno quasi qui», annunciò Kim, dopo aver dato un'occhiata al suo cellulare.

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