37. Segnale dall'universo

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ELEANOR

C'erano giorni in cui tutto sembrava girare per il verso giusto. Troppo per il verso giusto. E quando di solito non c'era alcun intoppo nelle prime tre ore della giornata, allora cominciavo a preoccuparmi perché, nella maggioranza dei casi, il guaio era proprio dietro l'angolo.

Quella mattina mi ero svegliata di buon umore, probabilmente perché avevo passato due giorni in compagnia dei miei migliori amici a fare le cose che ci piacevano di più, che poi si riducevano a pranzi e cene in ristoranti diversi, cinema e shopping come se avessimo un conto in banca infinito. Avevo avuto tutto il tempo di fare una doccia rilassante e di far mangiare Mojito mentre mi preparavo con tutta la calma che mi ero concessa e, quando varcai la soglia dell'edificio aziendale con lui al guinzaglio, ero comunque mezz'ora in anticipo rispetto alla mia solita tabella oraria.

Il sabato precedente Ryan, Emily, Cody e io avevamo portato Mojito dal veterinario, che lo aveva visitato e gli aveva fatto tutti i vaccini necessari, poi mi ero rivolta alla dog sitter che viveva nel mio palazzo che, per mia fortuna, mi aveva dato la sua disponibilità a partire da quello stesso martedì, quindi quel giorno avevo deciso di portarlo con me in ufficio perché non volevo lasciarlo da solo a casa per tutte quelle ore. Così, con la borsa pesante di crocchette, ciotole, giochini vari per intrattenerlo e salviette umidificate, mi incamminai verso l'ascensore dopo aver salutato l'usciere che era già fermo dietro la sua postazione di lavoro.

Il piano in cui si trovava il mio ufficio era immerso in un silenzio tombale, dato che era ancora presto e nessun dipendente arrivava a quell'ora, tranne in rari casi eccezionali. Lasciai la borsa sulla scrivania, poi sganciai il guinzaglio dal collare di Mojito e sistemai le sue ciotole nell'angolo più remoto della stanza. Aveva fatto i suoi bisogni durante il tragitto verso l'azienda – motivo per cui non avevo preso un taxi – perciò sperai che non avesse intenzione di fare pipì in giro nell'ufficio. Lui si accucciò subito sulla poltroncina e io approfittai del suo ozio per andare a prendere il caffè al distributore automatico.

Gli occhi mi caddero d'istinto sull'ufficio di Hunter, la cui porta chiusa mi confermò che non era ancora arrivato nemmeno lui.

Sorseggiai il mio caffè con calma, puntellata su una parete, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente che aveva già cominciato a sferragliare mentre riflettevo su tutte le cose che avevo da fare. Innanzitutto, dovevo finire di sistemare i documenti nell'ufficio del capo, dato che il venerdì precedente Hunter e io non avevamo terminato, poi avrei dovuto organizzare un incontro tra un importante acquirente e Bill, non appena quest'ultimo si fosse reso disponibile, per una proprietà negli Hamptons che la Hawthorne Enterprise aveva messo in vendita qualche settimana prima. In seguito, avrei dovuto cercare Luke per ringraziarlo della torta.

Con tutta quei pensieri a sussurrarmi frasi sconnesse in testa, mi accorsi che mancavano dieci minuti all'arrivo dei miei colleghi e mi affrettai a buttare il bicchiere dentro il cestino, poi tornai nel mio ufficio.

Tuttavia, nel momento stesso in cui varcai la soglia, mi accorsi che Mojito non era più nel punto in cui l'avevo visto l'ultima volta.

«Mojito.» Lo richiamai una, due, dieci volte, a voce sempre più alta. Ero stata così stupida da non aver chiuso la porta e il cuore mi sprofondò nelle ginocchia al pensiero che potesse essere andato chissà dove, in quell'enorme edificio.

Mi ritrovai a carponi sul pavimento, con il vestito arrotolato sulle cosce, per ispezionare ogni angolo basso del mio ufficio, ma senza successo. Quindi mi spinsi fuori, in corridoio, e mi mossi veloce tra le file delle scrivanie poco lontane.

«Mojito, per favore, torna qui.»

Non funzionarono nemmeno le preghiere, e non trovai il cucciolo da nessuna parte.

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