33. Un cuore ammaccato

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ELEANOR

Mi ero sempre ritenuta una persona incapace di odiare davvero, forse perché ritenevo l'odio un sentimento stupido e una grossa perdita di tempo e forze.

Questo era prima che avessi la sfortuna di incontrare Hunter Hawthorne. All'inizio l'avevo ritenuto insopportabile, poi ero arrivata quasi a odiarlo; a un certo punto, avevo addirittura pensato che non fosse così male come credevo, ma ero tornata ben preso al punto di partenza.

Lo odiavo.

Ogni mio nervo, ogni mia cellula, ogni mio muscolo odiavano Hunter. Non c'era una sola parte di me che non provasse quell'orrido sentimento, mentre mi rivestivo in quell'ufficio che odorava di sesso. Sesso che era stato assolutamente fantastico, certo... a parte per quell'ultima parte in cui aveva deciso di negarmi l'orgasmo.

Prima di rivestirmi ero dovuta zampettare nel bagno dell'ufficio di Bill per ripulirmi, dato che non avevo intenzione di accomodarmi in macchina di Ryan gocciolante di tutti quegli umori che mi erano scivolati fino alle caviglie, e mi era balenata l'idea di finire da sola quello che Hunter aveva cominciato. Tuttavia, il pensiero di farlo così, nel bagno dell'ufficio del mio capo, era stato abbastanza deprimente da farmi desistere.

Ripulii anche la scrivania di Bill, mi accertai che tutto fosse in ordine e poi lasciai quella stanza. Lo schermo del mio cellulare era invaso di notifiche da parte di Ryan, che mi aspettava fuori dall'edificio da decisamente troppo tempo, perciò gli inviai un brevissimo messaggio: "Scusami, mi hanno trattenuta. Arrivo."

Scesi dapprima nel mio ufficio per recuperare tutte le mie cose, mi infilai il cappotto e occupai di nuovo l'ascensore. Non c'era più alcun dipendente, erano già andati tutti via, ed era una fortuna nella sfortuna, considerando lo stato pietoso in cui vertevo. Come se non bastasse, non indossavo nemmeno le mutande, i cui resti giacevano sul fondo della mia borsetta insieme alle calze strappate.

Gliel'avrei fatta pagare. In un modo o nell'altro, avrei trovato il modo di ripagarlo con la sua stessa moneta.
Era vero quello che aveva inteso, ovvero che gli ero ronzata attorno senza mai avvicinarmi troppo di proposito, e l'avevo fatto solo per divertirmi un po'. Se avessi saputo che mi avrebbe torturata in quel modo, negandomi l'orgasmo solo per un suo piacere personale, di certo avrei evitato perfino di respirare la sua stessa aria.

Ma il mio cervello aveva qualcosa che non andava, e bastò che le immagini di poco prima – del modo in cui mi aveva spinta sull'orlo una miriade di volte – si ripresentassero davanti ai miei occhi per eccitarmi di nuovo.

In preda all'esasperazione, mi strattonai i capelli annodati. «Dannato Hawthorne», sbottai, proprio mentre mi lasciavo l'edificio aziendale alle spalle.
Il cappotto che indossavo era abbastanza lungo da proteggermi, però l'aria fredda mi fece rabbrividire. La neve si era quasi completamente sciolta, e quei pochi cumoli rimasti erano più che altro ammassati agli angoli dei marciapiedi, mentre le carreggiate ne erano già sgombre.

L'auto di Ryan era ferma poco più avanti con le quattro frecce attivate, e presi un profondo respiro prima di aprire la portiera. Mi accomodai sul sedile del passeggero e rivolsi un sorriso pieno di scuse al mio migliore amico, che mi squadrò dalla testa ai piedi prima di alzare al cielo i suoi occhi azzurri.

«Dovrei chiederti perché hai l'aspetto di una che è stata appena inseguita da qualche assassino o da una mandria di bufali imbizzarriti?»

Ampliai il sorriso, mostrando i denti.

«Anzi, scommetto di sapere il motivo per cui mi hai lasciato ad aspettarti per quasi un'ora», confessò, le palpebre ridotte a due fessure.

«Vuoi una conferma?»

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