35. Sei solo fastidioso

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HUNTER

Quella giornata era cominciata male. Anzi, malissimo. Una vera e propria merda. Forse perché mio padre aveva avuto l'idea geniale di telefonarmi alle tre e mezzo del mattino per blaterare qualcosa che a malapena avevo recepito riguardo a come stava procedendo il suo viaggio a Madrid, dimenticandosi di quel piccolo particolare che era il fuso orario, o forse perché, dopo esser riuscito a fatica a riprendere sonno, alle sei del mattino ero stato svegliato dalla musica che Zade aveva deciso di sparare a tutto volume mentre si cimentava tra i fornelli, il che non era strano dato che spesso soffriva di insonnia e passava svariate nottate a cucinare per ammazzare il tempo. Considerando poi che interrompere il mio sonno ristoratore significava condannarmi a passare tutta la giornata con le palpebre pesanti e l'umore più nero della pece, il disastro era già annunciato così.

E quando ero arrivato in azienda la situazione era caduta a picco verso la devastazione più totale. Ero stato fermato da Agatha nel bel mezzo del corridoio e mi aveva praticamente seguito mentre cercavo di raggiungere il mio ufficio, sparando a raffica tutti i motivi per cui, secondo lei, sua nipote sarebbe stata perfetta come mia segretaria; sebbene le avessi ripetuto più volte che non ne avevo bisogno – anche perché non mi sarei trattenuto troppo tempo a New York – lei aveva insistito così tanto che alla fine ero stato costretto a chiuderle la porta in faccia. Letteralmente. Era mancato poco che il battente non le si schiantasse sul naso.

«Sei sicuro di stare bene?» mi domandò Tyler, interrompendo un momento particolarmente intenso in cui mi ero incantato su una scartoffia sulla mia scrivania.

Si era presentato nel mio ufficio un'ora più tardi e mi aveva gentilmente portato un caffè, ma anche lui quella mattina aveva deciso di parlare più del solito. Avevo solo captato qualche frase sconnessa riguardo Kim, perciò l'argomento non era abbastanza interessante da tenere alta la mia attenzione.

«Sì, sto bene», affermai. Trangugiai l'ultimo sorso di caffè e buttai il bicchiere biodegradabile nel cestino sotto la scrivania.

«Hai ascoltato mezza parola di quello che ho detto?»

«Sì», mentii. «Kim, appuntamento pazzesco... Le hai già chiesto di sposarti?»

Tyler alzò gli occhi al cielo. «Cristo, non hai ascoltato proprio nulla.»

Mi strinsi allora nelle spalle. «Non ho dormito un cazzo, quindi gli ingranaggi del mio cervello stanno facendo fatica a mettersi in moto. E in pomeriggio devo accompagnare i miei fratelli a vedere una partita di football, perciò devo riservare le poche energie che mi rimangono. Sprecarle per ascoltare i tuoi racconti avvincenti riguardo la tua fidanzatina, scusami, ma sarebbe troppo perfino per me.»

«Grazie per l'alta considerazione che hai di me.»

Fu il mio turno di alzare gli occhi al cielo. «Non fare la vittima. Domani, te lo prometto, sarò tutto orecchie.» Poi mi venne un dubbio che mi fece arricciare il naso. «Non le hai chiesto di sposarti, vero?»

Contorse il viso in una smorfia. «No, per l'amor del cielo.»

«Menomale.»

«Sto solo per diventare padre.»

Mi si rizzarono tutti i peli del corpo e mi si riarse all'improvviso la bocca. «Cosa?»

Sembrava perfettamente serio, quasi una statua di marmo. «Ora mi hai ascoltato, quindi.»

«E... come...»

«Rilassati», mi interruppe, «sto scherzando. Non sto né per sposarmi né per diventare padre. Ero soltanto venuto qui per riferirti ciò che Kim mi ha detto riguardo Eleanor.»

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