25. I fratelli Hawthorne

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Attenzione: questo capitolo fa parte di un doppio aggiornamento. Assicuratevi di aver letto il capitolo precedente, ovvero il 24, prima di proseguire con questo.

ELEANOR

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ELEANOR

«Per l'amor del cielo, si sta per scatenare un'altra tempesta.»

Ryan si passò le mani tra i capelli chiari per liberarsi delle gocce di pioggia che ci avevano colto alla sprovvista mentre scaricavamo la sua auto delle mie buste.

«Resti qui?» domandai con una lieve fiammella di speranza al centro del petto.

Non volevo rimanere da sola. Non di nuovo.
Quella mattina, non appena avevo aperto gli occhi, mi ci era voluto un po' per rimettere in ordine gli avvenimenti della notte passata e quando avevo realizzato che tutto ciò che davvero accaduto, era stato spontaneo per me cercare Hunter nel suo appartamento. Ma lui non c'era, e anche i suoi vestiti erano spariti.

Non che mi importasse avere la sua compagnia, era solo che quella punta di delusione mi aveva pungolato la stomaco, quindi avevo recuperato le mie cose e avevo atteso Ryan sulla soglia dell'ingresso del palazzo, che per mia fortuna era arrivato in tarda mattinata e non durante il pomeriggio come aveva previsto.

«Sì, va bene.»

Non riuscii a trattenere un rumoroso sospiro di sollievo e gli sorrisi. «Vado a farmi una doccia, allora.»

«Okay, io cucino qualcosa, nel frattempo.»

Annuii e feci per voltarmi, ma Ryan cacciò un urlo che mi fece sobbalzare. «Ma che...»

Sollevò un dito e mi indicò. «Cosa diamine hai sul collo?»

Di riflesso, spostai una mano sul punto che stava fissando e lo guardai con un cipiglio confuso. «Nulla.»

«Nulla?» ripeté. Davanti al mio sbigottimento, mi afferrò per un polso e mi spinse sgraziatamente fino al bagno per piazzarmi davanti allo specchio; mi prese per il mento e mi obbligò a voltare la testa. «Questo, Eleanor.»

Mi sentii sprofondare. Lì, sul lato destro del collo – motivo per il quale Ryan non l'aveva visto mentre eravamo seduti nella sua auto – albergava un brutto segno violaceo dai bordi frastagliati.

Boccheggiai, senza emettere un solo suono difronte sotto lo sguardo circospetto di Ryan che lo specchio mi restituiva.

«Io...» Mi massaggiai il collo, incapace di trovare una scusa plausibile. «Devo fare una doccia. Esci.»

«Ah, no.» Piazzò le mani sui fianchi, uno dei suoi soliti gesti teatrali. «Voglio sapere.»

«E io voglio fare una doccia.»

Avrei raccattato il coraggio di spiegargli il motivo per cui avessi quel dannato succhiotto sotto il getto caldo dell'acqua. Non indossavo nemmeno le mutande, e i jeans cominciavano a darmi fastidio.

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