1. Questione di sguardi...

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Come molti successivamente lo definirono, fu un colpo a ciel sereno quello che si avventò sulla casa accanto quella di Jeffrey quella stessa notte intorno all' 1:30, le 2:00. Un arresto cardiaco fulminante e nonostante Jeffrey avesse sentito la richiesta d'aiuto da parte di sua zia, non poté far nulla. Suo zio era morto. Arrivarono altri parenti che si affrettarono a contattare i figli e dare loro la triste notizia.
Alla mattina, Jeffrey bevve un caffè a casa propria, guardando costantemente l'orologio. Erano le 6:00. Non aveva dormito proprio. Pensò che in guerra ciò fosse veramente inammissibile. Nella sua ultima missione in Iraq, gli avevano insegnato che almeno otto ore di sonno erano indispensabili. Un soldato stanco era un soldato morto. Di recente, pensava solo alla morte. Qualche mese prima era morto suo nonno e ancora non riusciva a farsene una ragione. Pensò che fosse inutile restare lì. Perciò, decise di tornare a casa di sua zia, almeno per confortarla con la propria presenza.
Arrivò in poco tempo davanti all'uscio in cima alle scale di marmo, ma non osò andare oltre. Improvvisamente, gli venne incontro un suo cuginetto. Aveva 10 anni e si chiamava Edward.
- Hey, Jef! Come stai? Hai saputo ciò che è successo stanotte?-, Jeffrey si chiese quanto in là potesse spingersi l'innocenza dei bambini. Sorrise, mantenendo la schiena dritta.
- Sì, purtroppo. Infatti sono venuto qui per dare conforto alla zia.-, preservò un tono asciutto e costante come gli avevano insegnato nelle diverse missioni affrontate.
- A me non hanno permesso di entrare... Non vogliono che lo veda...-
- Hanno fatto bene.-, si limitò a dire, accennando un sorriso spento. Sinceramente non sapeva più come si facesse. Tutte le manifestazioni d'affetto più naturali che per gli altri erano altamente normali, per lui consistevano in un'impresa ardua.
Intrecciò le mani dietro la schiena e serrò la mascella. Guardò a destra e a sinistra. Percepì che dovesse tener d'occhio il cancello. Era un istinto. Aveva imparato che seguire il proprio istinto fosse fondamentale per sopravvivere. Principalmente quello lo aveva aiutato in guerra. Guardò all'interno della casa. Vi erano sei persone. Le identificò mentalmente. Danielle e Marylyn (le figlie sposate della zia Noelle), sua zia, sua nonna e altri due soggetti che non riconobbe.
- Ho saputo che sei stato in guerra!-, esclamò Edward, destandolo dai suoi ragionamenti calcolatori.
- Sì. È così. Come fai a saperlo?-, in effetti Jeffrey non lo aveva detto nessuno. Non era stato alquanto piacevole quel periodo e gli altri non potevano capire.
- Sai, le voci girano!-, ignorò la vocina nella sua testa che gli chiedeva come avessero potuto girare certe voci, soprattutto su di lui.
- Ah, capisco.-, a quel punto, Jeffrey si accorse di quanto fosse cambiato. Prima era così semplice intrattenere una discussione di senso compiuto con gli altri, mentre adesso, se avesse potuto, avrebbe risposto a qualsiasi domanda sì o no.
All'improvviso, sentì degli pneumatici su un terreno sterrato. Si voltò verso il cancello e vide una vettura argentea, di cui non distinse il modello perfettamente, giacché le fronde degli alberi gli coprivano la visuale. Scese una ragazza dai lunghi capelli ricci scuri. Non cercò di entrare dal cancello subito. Sembrava che aspettasse qualcuno. Jeffrey tentò di seguirla con lo sguardo perennemente e di riscontrare più caratteristiche su di lei. Distinse i vestiti pressocché decentemente. Indossava dei pantaloni della tuta blu scuri e una giacca sportiva del medesimo colore con striature bianche.
Dopo circa tre minuti, si parcheggio nel lato opposto alla sua auto una Audi bianca, da cui vi scese suo cugino Fabian, figlio della zia in lutto. Lei gli andò incontro e si scambiarono qualche parola, poi entrarono dal cancello. Jeffrey spostò lo sguardo. Si ricordò che alla gente non piaceva essere fissata come se da un momento all'altro le potesse svolgere una tac encefalo. Si poggiò al muro e attese. Dopo la guerra, era diventato molto paziente e resistente a qualsiasi eventualità gli si fosse presentata. Sentì i passi lungo le scale e alzò lo sguardo solo quando si fermarono davanti a sé.
- Ciao...-, sussurrò Fabian in preda alle confuse emozioni, se mai ne avesse avuta qualcuna.
Nonostante si odiassero sin da quando erano bambini, Jeffrey riuscì a preservare la decenza di salutarlo con un "Ciao" non sentito.
Fabian entrò dalla porta dileguandosi. Voltò lo sguardo verso di lui per accertarsi un attimo di dove fosse diretto. Poi si girò a guardare la ragazza al suo seguito. Non poté crederci.
- Ciao Jeffrey!-, era Carley. Era troppo difficile spiegare cosa Jeffrey stesse provando in quel momento. Era come se fosse risucchiato da un vortice di fuoco, creato da tutti i suoi sentimenti confusi. Sentì le gambe cedergli. Quasi non riuscì a parlare.
- Ciao!-, gli uscì un saluto pieno di sorpresa con gli occhi che gli brillavano. Carley lo guardò solo per un momento, poi entrò anche lei, lasciandolo in asso.
Nonostante i vestiti lasciassero a desiderare, Jeffrey non poté non pensare che fosse la più bella ragazza mai vista finora. Con quegli occhi scuri e profondi lo faceva annegare nei suoi pensieri più intimi e passionali. Non smise di guardarla neanche quando entrò dalla porta.
Da quant'è che non la vedeva? Era passato troppo tempo, circa 5 anni, ma non l'aveva mai dimenticata. Portava sempre con sé una foto di loro due insieme. Era del Dicembre di 8 anni fa. Lei indossava un maglioncino fatto a mano che le risaltava le forme e dei jeans attillati. Si ricordò che quella volta lo aveva costretto lei a farsi la foto, ma che nonostante questo lui avesse sorriso... un sorriso sincero che non aveva mai avuto. Gli stringeva il braccio e sorrideva anch'ella, rendendo la foto indimenticabile. Si lasciò trasportare da quei piacevoli pensieri e quando i loro sguardi si incrociarono nuovamente, sentì una scarica elettrica forte che lo costrinse a levare lo sguardo.

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