17. Fiducia malriposta.

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Era perso... Continuava a non spiegarsi come si era potuto identificare nel principe della "Bella addormentata nel bosco", che con un bacio veniva inspiegabilmente svegliata dal profondo sonno incontrastabile. Al massimo poteva essere quel principe che miracolosamente superava ogni ostacolo, arrivava lì davanti il letto, la baciava e rimaneva scombussolato, giacché l'adorata principessa non si svegliava. Oppure quello che si addormentava con lei. Ma cosa gli era saltato in mente? Almeno si rincuorò che quella ultima idea che gli era nata in testa, fosse l'ultima possibilità per conquistarla definitivamente... o perlomeno il miglior modo per uscire di scena definitivamente.
Per oggi aveva finito di lavorare al fantomatico progetto. Avrebbe ripreso l'indomani, stesso orario, stesso luogo. D'altronde di quel posto solo lui aveva la chiave e solo lui poteva entrarvi, non c'era alcun rischio. Guardò la "bozza" e ne fu compiaciuto. Cercò in tasca il suo coltellino svizzero con cui prima aveva tolto l'erbacce, ma non lo trovava, già da prima che era a casa, ora che ci pensava bene. Si convinse che gli era caduto in qualche cespuglio e che lo avrebbe cercato, quando vi fosse stata abbastanza luce per farlo. Si portò le mani agli occhi. Era stanco, nonostante non volesse ammetterlo. Le sue facoltà dovevano sempre essere al cento per cento. Non poteva permettersi un peggioramento. Non poteva pensare cosa avrebbe fatto il caporale se lo avesse visto in quelle condizioni di afflosciamento, sicuramente una bella serie di 300 piegamenti con la faccia nel fango per rinvigorirlo. Scosse la testa per ristabilizzarsi. In guerra riusciva anche a rimanere concentrato ore e ore senza sentire la forte stanchezza opprimerlo. Cosa era cambiato? Forse stava vivendo proprio nelle fiabe. Si alzò dalla sedia su cui aveva cercato di rilassarsi, spense la luce della lampadina pendente dal tetto e uscì, chiudendo a chiave la porta. Si era fatto veramente tardi e non se n'era manco accorto. Altro che prontezza del soldato! Percorse la strada buia verso casa con tanta attenzione, nonostante il desiderio di accasciarsi e rimanere accucciato a un angolo per dormire in pace fosse forte.
Arrivò in men che non si dica davanti il cancello. Lo scavalcò. Guardò all'interno della casa di sua nonna, per controllare che le luci fossero tutte spente e lei a dormire. Poi, salì le scale, aprì la porta e si diresse dritto dritto a letto.

Non suonò la sveglia l'indomani mattina, ma il citofono. Il rumore nel salone di sua nonna fu sottile, ma fu abbastanza per riportare Jeffrey nel mondo dei vivi. Non si aspettava visite e neanche sua nonna, se no lo avrebbe avvertito. Era già vestito, giacché non aveva avuto la forza di togliersi i vestiti. Così scese da sua nonna a vedere chi fosse. Si trovò davanti due tizi, dei federali, uno sulla quarantina, l'altro sulla ventina. Il giovane era più alto di circa 10 centimetri rispetto Jeffrey e lo squadrava con aria diffidente. Il vecchio lo guardava ugualmente truce. Non sembravano essere mossi da buone intenzioni. Sua nonna era paralizzata accanto a loro.
- È lei Jeffrey Shaw?-, ebbe il coraggio di parlare il quarantenne andandogli incontro quasi barcollando, mettendo mano alla cinta armata di manette e pistola, quasi a minacciarlo col gesto. Jeffrey si mantenne sulla difensiva.
- Perché? Che le interessa?-, guardò la pistola. In guerra aveva imparato a riconoscere i modelli d'arma da fuoco a primo sguardo. Una 44 magnum del '98. Nulla di così speciale. Avrebbe potuto disarmarlo senza problemi.
Il poliziotto si fece una mezza risata, spalleggiato dall'altro. Jeffrey si mise in allarme a quell'ironia sarcastica nei loro occhi.

 Jeffrey si mise in allarme a quell'ironia sarcastica nei loro occhi

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- Io sono l'ispettore Jack Smith e lui è l'agente Matthew Lane.-, disse come era da abitudine, mostrando il distintivo come fosse una carta d'imbarco per le Hawaii. Jeffrey non ne fu assolutamente impressionato.
- E cosa vi serve?-, non voleva interpretare i loro pensieri ancora, se no avrebbe cominciato a dare di matto.
- Abbiamo ricevuto una soffiata anonima...-, esclamò trionfoso di sé stesso per non aver fatto niente.
- È suo questo, giusto?-, domandò l'altro rimasto sulle sue, mostrandogli un coltellino svizzero insanguinato. Era proprio quello di Jeffrey. Ma perché era insanguinato? Le connessioni logiche di Jeffrey si unirono velocemente ed impallidì.
- Le abbiamo fatto una domanda...-, precisò minaccioso il vecchio, tanto perché già non si sapesse.
- È mio.-
- Allora, abbiamo l'onore di dichiararla in arresto per omicidio, caro signor Shaw!-, reclamò il giovane andandogli incontro con le manette già in mano.
- Non ho commesso alcun omicidio. È da ieri pomeriggio che non lo trovo. Non avete alcun diritto di arrestarmi. È chiaro che qualcuno ha cercato di incastrarmi.-, Jeffrey cominciò ad irritarsi, mentre sua nonna si appoggiava al tavolo per sorreggersi dall'incredulità.
- Oh, beh... Di ciò ne parlerà in tribunale...-, commentò con un sorriso beffardo sul volto il vecchio, mettendogli una manetta al polso.
- Le ricordo che ogni parola che dirà potrà essere usata contro di lei...-, cominciò a recitare meglio delle preghierine della sera il giovane, spingendolo verso l'esterno della casa.
Jeffrey avrebbe potuto brevemente smanettarsi e sedare i due bestioni in 5 mosse, ma non lo fece, altrimenti sì che andava in prigione e anche per un bel po'. Sentì sua nonna disperarsi come suo solito e le intimò di placarsi. Avrebbe dimostrato che era innocente. Chi aveva potuto incastrarlo in questo subdolo modo?! Non riusciva a pensarci...
Mentre veniva deportato sull'auto della polizia si disse solo che ora più di qualunque altra volta non poteva fidarsi proprio di nessuno... O forse solo di qualcuno...

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