Chiarì la situazione alla signora Mary, girando freneticamente attorno al tavolo della cucina e con voce forzatamente sincera. Per fortuna, la nonna di Jeffrey non era così tanto una cima in fatto di sensibilità linguistica, perciò non intuì alcun problema dietro, o perlomeno fece finta di non accorgersene.
Tornò in salotto, cosciente del fatto che Jeffrey avesse sentito tutto. Lo trovò seduto a terra con un braccio lungo il bordo del divano su cui poco prima stava quasi per agonizzare. Gli occhi fissi nel vuoto, come tutte le volte che si rinchiudeva nel suo mondo inespugnabile.
- Mi dispiace. Per ciò che è successo.-, esordì improvvisamente, spezzando la frase.
- Tranquillo, non è stata colpa tua... O almeno credo...-, le parole fuoriuscirono senza accorgersene, appena seduta accanto a lui sul divano. Perché non si zittiva certe volte?
- Mi volevano uccidere. Li conoscevo. Li ho conosciuti in guerra.-, mantenne la voce calma, la quale contrastò molto con quella sua tentennante. Lo guardò e si ricordò delle domande trattenute in mente prima che si svegliasse.
- Sono loro che ti hanno fatto quelle cicatrici?-, le rivolse uno sguardo vacuo altamente indecifrabile.
- Non solo.-, si limitò a dire glaciale. La risposta non fu affatto soddisfacente, inoltre l'allarmò parecchio.
- Cosa vuoi dire? In cosa sei stato coinvolto? Chi sono quei tizi? E da quando in qua sai parlare russo?!-, scattò a sedersi accanto a lei, il che gli procurò una fitta al petto paralizzante.
- A cosa stai pensando, Carley? Dubiti di me?-, la domanda suonò molto a trabocchetto, dato che fu anche la stessa di quando era carcerato e le aveva chiesto di essere il suo avvocato.
Si preparò bene all'ispezione da cavarle gli occhi dalle orbite di Jeffrey. Poi assestò un secco "No." che sembrò convincerlo, forse perché era nervoso.
- Facevano parte della mia fazione militare. Sono spariti dopo qualche missione. Alla fine erano delle spie sovietiche, unite all'Al Qaeda. Sono stato loro prigioniero per circa un anno assieme ad un mio compagno. Sono stato torturato. Sono riuscito a fuggire molto difficilmente e solo dopo ho scoperto chi fosse il capo delle loro azioni.-
- Chi?-, si era lasciato troppo trasportare dai brutti ricordi. Distolse lo sguardo.
- Non puoi saperlo. Ho imparato il russo per poter comunicare con loro e fuggire. Ti prego di non dirlo a nessuno. Sei la sola a saperlo.-
- Ma... Ma è terribile...-, esclamò Carley, tremando dalla paura e dall'incredulità.
- Scusami. Non volevo spaventarti.-, le sussurrò, stringendole un polso rigidamente per rassicurarla in qualche modo.
- Io... Io non riesco a crederci che tu abbia... abbia passato tutto questo...-, balbettò agitata, cominciando a lacrimare leggermente per la troppa empatia che si ritrovava in corpo.
- Hey... Calmati.-, le mormorò trascurando il fatto che il suo tono si fosse addolcito di più rispetto al suo solito. Le asciugò una lacrima con il pollice. Lei prese fiato, riuscendo a calmarsi relativamente.
- Mi hai detto che non sono stati solo loro a farti quelle cicatrici... Chi altro è stato?-, lo sentì sospirare per trovare le parole o forse il coraggio di rivelarle qualcosa che anche per lui era difficile da credere.
- Ho avuto un'infanzia difficile. Anche se non si direbbe. Avevo dei genitori stupendi. Sono morti quando avevo 7 anni in un incidente aereo. Sono cresciuto con i miei nonni. Due nonni altrettanto stupendi. Mi hanno insegnato i valori morali più importanti che chiunque dovrebbe osservare. Non ho mai voluto prendermi le mie responsabilità, come ben sai. Trascorrevo le mie giornate oziando quasi del tutto. Sentendomi onnipotente. Viziato. Un completo pallone gonfiato, insomma. Mi sollazzavo in giro. Andavo spesso alle riunioni tra parenti. Avvenivano spesso. E...-, si fermò.
- Cosa è successo?-, domandò, accarezzandogli un braccio per fargli sapere che non fosse solo.
- Lui mi picchiava. Ogni giorno. Lui mi spingeva ad odiare me stesso. Mi spingeva ad odiare il mondo. Tirava fuori il peggio di me. Ciò che non sono mai stato. Lui.-, i suoi occhi si restrinsero in una rabbia incontenibile.
- Lui chi?-, si voltò verso di lei, dopo essere tornato in sé stesso. Le dita delle mani gli si irrigidirono talmente tanto che sembrarono corde di violino tese al massimo.
- Uno dei miei parenti. Meglio che tu non sappia chi sia.-, disse con voce roca.
Si soffermò sui suoi occhi tremendamente intensi e non poté non chiedersi ciò che aleggiava nella sua testa già da un po'... Abbassò lo sguardo e si inumidì le labbra.
- Come hai fatto... Sì, come hai fatto a... a sopravvivere a tutto questo? Perché sei sopravvissuto a tutto questo? Chiunque altro avrebbe preferito la morte, ma tu no... Ed ecco, io non capisco... Perché lo hai fatto?-, la sua voce vibrò irreparabilmente. Le alzò il viso in modo che i loro occhi potessero incontrarsi.
- Molte volte anch'io avrei preferito la morte. Eppure c'è sempre stato qualcosa che mi faceva venir voglia di continuare a vivere ed era qualcosa che desideravo di più.-, rimase enigmatico, protendendosi leggermente verso di lei.
- Tu.-, chiarì infine, lasciandola senza parole.
Sfiorò le sue labbra, prima con il pollice, poi con le sue. Lo sentì opprimerla sotto il suo peso, per poi respirarla. Cominciò a baciarla dolcemente, poi continuò ad un ritmo più scandito e veloce per soddisfare le sue labbra esigenti. Gli incrociò le braccia al collo, lasciandosi andare ad un bacio che avrebbe voluto fermare nel tempo, solo per ripeterlo all'infinito. Lasciò passare la sua lingua all'interno della sua bocca e fu una sensazione che, nonostante avesse già provato, sembrò unica nel suo genere. Prese l'iniziativa di alzarsi dal divano con lui, perciò lo guidò piano a mettersi in piedi. La seguì senza staccarsi da lei. Perché aveva aspettato così tanto per provare queste emozioni?
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Il corso della fenice...
ChickLitIl soldato Jeffrey di ritorno da delle missioni militari viene scosso nella notte dalla richiesta d'aiuto gridata da sua zia Noelle, risiedente nella casa accanto alla propria con il marito Mark e il figlio Fabian, al momento in Irlanda per conclude...