42. Il corso della fenicie...

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La sua vita era cambiata completamente dopo dieci anni

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La sua vita era cambiata completamente dopo dieci anni. I suoi capelli erano diventati crespi, i suoi occhi perennemente scavati e irritati, le sue labbra screpolate, il suo corpo eccessivamente esile, nonostante le due gravidanze. Era divenuta schiava del bere. Si ubriacava almeno tre volte a settimana dopo aver messo a letto i bambini. Era disoccupata. Era sola, tremendamente sola e isolata nella casa di campagna, in cui la madre era cresciuta. Aveva perso i contatti con il padre, il fratello, le amiche, gli amici. Non aveva più la macchina. Ogni giorno andava a piedi di porta in porta per ritirare dei capi sporchi e offrirsi di lavarli per recimolare qualche soldo. A volte li lavava con le proprie lacrime.
Ma a parte questo, la rincuorava il fatto che i suoi bambini fossero intelligenti... Sì, entrambi molto intelligenti... Capivano subito quando stava per mettersi a piangere e cominciavano a piangere anche loro. Era stato difficile essere una brava madre senza il buon esempio della sua, ma lottava ogni giorno per essere la migliore, anche se la depressione la buttava giù a tal punto da non farle desiderare più di vivere. Quante volte pulendo le posate, prendendo un coltello in mano ci aveva pensato... di porre finalmente una fine alle sue sofferenze. Eppure poi le veniva in mente un pensiero che le permetteva di posare il coltello con gli altri. Un pensiero così intenso. Non ne aveva più di pensieri così intensi. Era diventata troppo distratta, sbadata... A volte si confondeva su che giorno fosse, a volte aveva problematiche di calcolo... Le faccende quotidiane la stancavano troppo e la rendevano isterica... Anche perché tutto gravava sulle sue uniche spalle... Aveva sempre pensato che ce l'avrebbe fatta dopo aver badato al padre e al fratello tutta sola, eppure si sentiva sempre più eccessivamente affaticata, soprattutto per i bambini... Erano bellissimi e davvero sì, erano pezzi del suo cuore, ma mantenerli era divenuta un'impresa... Joseph poi aveva esigenze particolari!
Ricordava ancora, dopo 6 mesi dal parto, quando i medici l'avevano guardata con quello sguardo falsamente compassionevole di chi comprende un tale peso da portare... ma nessuno poteva compatirla a pieno...
- Ci dispiace... Lily sta bene, è una bambina molto vivace... ma Joseph... ha problemi relazionari... Non riesce a creare interazioni sociali, né comunicative e tende a comportarsi in modo ripetitivo... Presta poca attenzione agli stimoli sociali... Perciò crediamo che... suo figlio sia autistico...-, erano state una freccia al cuore quelle parole così dirette e fredde...
Si sentiva responsabile... D'altronde aveva notato che Joseph rispondeva meno frequentemente di Lily al suo nome... Non sapeva come comportarsi, era veramente uno stereotipo che non aveva mai considerato potesse far parte della sua vita... della sua unica vita, dato che il marito tendeva a sparire di tanto in tanto o per impegni di lavoro o beh... temeva di chiederlo... Una volta era tornato dopo un mese, scuro come la cenere che si era accumulata nel caminetto davanti al quale era solito sedersi Joseph solo. Gli aveva dato uno schiaffo in pieno viso perché, a suo dire, gli impediva di avere un'ottima visuale della televisione. Fu allora che sentì dentro di sé una forza inaudita. Quello era suo figlio. La sua creatura già nata svantaggiata in una vita che avrebbe visto sempre come una minaccia.
- Fabian! Non era necessario!-, aveva imperato. Lui era balzato in piedi e le aveva messo una mano al collo.
- Tu, puttana! Non devi dirmi come devo crescere mio figlio! È chiaro?! Sei responsabile tu di quello che ha! Devi solo starti zitta!-, sapeva che non era la verità o almeno lottava ogni giorno contro se stessa per non ritenersi l'unica responsabile. Joseph si era dileguato verso la cucina.
- È anche mio figlio... e non è solo colpa mia se è autistico...-, aveva mormorato, sperando di smuovere un po' di pietà da quel cuore totalmente nero. Fabian aveva sorriso, poi aveva iniziato a ridere in un modo che la inquietò parecchio.
- Tuo figlio è una merda! Io dovevo avere un degno erede, ma tu mi hai dato una merda! Se sono qui è solo per fare un piacere a te e alle merde che mi hai dato! E sai? Non vedo il motivo del perché sto ancora qui! Volevo una famiglia normale! Ho già abbastanza problemi! Io me ne vado per sempre!-, aveva cominciato a prendersi il borsone.
- Jeffrey aveva ragione...-, aveva sussurrato per di più a se stessa, ma sfortunatamente lui lo aveva sentito. Si era voltato verso di lei con gli occhi iniettati di sangue. Temette per la sua vita.
Le era andato incontro a passi pesanti, quasi come dei balzi di un animale feroce. Le si era impuntato davanti. Le aveva dato uno schiaffo cocente sul viso.
- Ah, sì? È così?!-, le aveva preso la testa e l'aveva sbattuta sul muro dietro di lei. Aveva sentito il trauma celebrale crearsi.
Era furioso. Continuava a parlare tra sé e sé come solo i pazzi fanno.
- Vuoi sapere su cos'altro aveva ragione?! Eh?!-, le aveva gridato, tirandola per i capelli. L'aveva scaraventata a terra con le mani brulicanti di ira.
- Avanti! Guardami!-, le aveva afferrato il viso e voltato verso di sé.
- Aveva ragione! Sì! Io volevo solo rovinarti! Portarti via tutti i tuoi soldi e quelli di tuo padre! Volevo anche solo scopare! Non ho mai voluto figli, né tantomeno sposarmi! Io me ne fotto cento puttane come te! Ogni giorno! Ti pare perché di notte non rientro?! Si, lui ha sempre avuto ragione su tutto! Tutto quanto!-, le gridava come un forsennato.
Cominciò a piangere sentendo quelle parole. Singhiozzava, ma allo stesso tempo si sentiva mancare l'aria. Una parte di sé lo sapeva sin dall'inizio che sarebbero arrivati a quel punto... quel punto in cui l'avrebbe uccisa. Sentiva il suo stesso sangue colarle sulle tempie, raccogliersi in gola. Fu allora che si chiese perché lo avesse sposato. Vi erano milioni di motivi per non farlo, ma forse era proprio per essi che lo aveva fatto. Per provare a se stessa che poteva ottenere ciò che voleva... che avrebbe potuto cambiarlo, ma nessuno poteva riuscirci.
L'aveva sollevata e buttata sul divano, che quasi si rovesciò da un lato. Poi aveva preso la cintura e aveva cominciato a frustarla con essa, sulla schiena fino a strapparle i vestiti. Nel dolore aveva pregato, pregato una divinità in cui non credeva neanche, ma che sapeva che in essa qualcuno ci credeva... il suo soldatino di piombo. Sperava che avrebbe frantumato la porta e rotto le ossa a Fabian, ma i desideri si realizzano una volta sola.
Dopo un'eternità, si era sentita quasi svenire dal dolore... Fu quando scorse il divano imbrattato di sangue, che sentì Fabian fermarsi e prendere qualcosa. L'aveva voltata verso di sé nuovamente e le aveva procurato una ferita al fianco abbastanza profonda con un coltello.
- Questo è per ricordarti di me!-, poi l'aveva colpita con un pugno, facendole perdere i sensi.
E fu così che se ne andò, portandole via tutto, tranne i suoi figli. Si era volatilizzato così velocemente che quasi sembrò ci avesse pensato a farlo molto tempo addietro.

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