23. Risse con russi.

114 7 0
                                    

Odiava trattare con i russi. Era chiaro che lo fossero. Fronte abbastanza larga, naso schiacciato, occhi insensibili, sorriso inesistente e prontezza d'attacco massima. In guerra era stato costretto a fronteggiarne molti. Tanto che ora solo a vederli ne aveva la nausea. Erano così superstiziosi e sanguinari che chiunque sarebbe stato capace di assoldarli. Darebbero la vita per il loro capo. Forse, questa era l'unica cosa apprezzabile della loro mentalità.
- Pust' devushka idti!- (Lascia andare la ragazza!), gli ribadì in russo, pensando che non avesse capito. L'uomo sputò e da dietro le sue spalle emerse un altro uomo, ridacchiando. Era pelato, circa un metro e novanta d'altezza. Occhi spenti celesti, bocca digrignante e il naso deviato. Aveva un qualcosa di stranamente familiare.
- Mne ochen' zhal', no eto ne predstavlyayetsya vozmozhnym!- (Mi dispiace, ma ciò non è possibile!), lo sbeffeggiò l'altro, avvicinandosi pericolosamente a Carley.
Doveva pensare lucidamente, nonostante avesse la consapevolezza che la persona più importante della sua vita fosse nella mani pericolose di quei russi. Erano già morti.
L'accento era forte, sicuramente proveniente dalla parte russa più rientrata verso l'Europa, dove solitamente venivano comprati i mercenari russi più fedeli.
- Eto delo mezhdu mnoy i vashim bossom. Ona ne imeyet nichego obshchego.- (Questa faccenda è tra me e il vostro capo. Lei non c'entra niente.), i due si guardarono sorpresi, ma non erano disposti a lasciarla andare. Quello pelato uscì dalla tasca un coltello a serramanico che fece scattare, avvicinandolo al viso di Carley.
Doveva restare calmo. Si avvicinò lentamente con le mani avanti. Ripeté per l'ennesima volta che dovessero lasciarla andare come ultimo avvertimento prima di scatenare l'inferno più mostruoso che si fosse mai visto. I due si guardarono complici e si misero a ridere. Odiava quelle loro risatine indecorose e quel loro modo minaccioso di armeggiare quel maledetto arnese quasi come se fosse una bacchetta magica.
Scattò in avanti con un pugno diretto al naso del russo che teneva ferma Carley, liberandola parzialmente, mentre con l'altra mano spinse il coltello lontano dal suo volto. Sferrò un altro colpo al pelato con il pugno che prima aveva colpito l'altro, per poi fiondarlo a terra con una ginocchiata. Approfittò del secondo in cui i russi erano storditi per afferrare Carley.
- Scappa.-, le esclamò, indirizzandola verso il cancelletto.
- Non ti lascio, Jeffrey!-
- Ho detto: scappa!-, puntualizzò, guardandola negli occhi.
Il pelato approfittò dell'attimo di distrazione per ferirgli il braccio con il coltello, ma ciò che non aveva previsto era che Jeffrey aveva una grande capacità di sopportazione del dolore. La pelle cominciò a sanguinargli, ma non lo sentì. Doveva portare al sicuro Carley, solo a quel punto avrebbe potuto anche soffrire. Prese per la gola il pelato e allontanò da sé il coltello, trattenendolo contro il muro della casa a fianco.
- Entra in casa immediatamente, porco cane.-, imprecò, per poi essere soffocato dall'altro russo che gli strinse un braccio al collo, facendolo scostare e allentare la presa dal pelato. Quest'ultimo andò a passi pesanti verso Carley, che cercò di difendersi inutilmente con tutte le sue forze, e sfregiarle leggermente una guancia.
Non ci vide più dagli occhi. Aveva cercato di sedarli senza rompere loro qualche costola, ma ora basta limitarsi.
Afferrò il braccio del russo che aveva al collo e lo ruppe con una contusione molto dolorosa, con cui aveva imparato a difendersi in guerra, costringendolo a lasciarlo andare, per poi sferrargli il colpo del decisivo K.O. con un calcio dritto in faccia.
A quel punto, andò a fronteggiare il pelato che ora lo squadrava terrorizzato.
- Tu stare lontano o io ammazzo donna!-, urlò in pessimo italiano, premendo il coltello sulla gola di Carley anch'ella in preda all'orrore di poter morire. Avrebbe voluto rassicurarla. Dirle che tutto sarebbe presto finito, ma avrebbe solo perso l'attimo.
- Allontanati da lei e non ti farò male.-, la sua pazienza si assottigliava sempre di più.
Il pelato non cedeva la presa. Jeffrey gli pestò un piede e in preda al dolore il russo lasciò andare Carley. Lo prese per il colletto della maglietta e lo sbatté contro il muro. Il russo con il coltello ancora in mano lo sfregiò profondamente al petto. Jeffrey questa volta non poté negare di aver sentito non poco dolore.
- Vy dolzhny skazat' svoyemu bossu, chto ya vse znayu.- (Devi dire al tuo capo, che so tutto.), riuscì a dire, nonostante fosse del tutto stremato dall'imminente sofferenza.
Carley arrivò in suo soccorso, spaccando un mattone sulla testa del pelato e facendogli perdere definitivamente i sensi. Jeffrey lo lasciò cadere a terra e spaccò in un colpo solo il coltello.
- Entra in casa. Penso che non saranno soli per molto.-, affermò, nonostante la ferita sul petto fosse ancora aperta e gocciolante. Carley lo prese da sotto il braccio, aprì il cancelletto con un calcio. Superarono il giardino ed entrarono finalmente in casa, dove serrarono ogni possibile spiraglio. Jeffrey si sentiva girare la testa. Non vedeva più dove stesse mettendo i piedi. La vista andava sempre più ad appannarsi. Si accasciò sul pavimento vicino al divano svenendo improvvisamente, come ultimo stadio di un dolore insopportabile.

Il corso della fenice...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora