18. Il condannato a morte...

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Si svegliò stranamente nel suo letto e non riuscì a spiegarselo, fino a quando il suo caro cervello non avesse messo in moto quella sua rotellina da criceto. Fabian non aveva voluto neanche scopare di quanto si era infuriato, perciò l'aveva mandata via. Meglio così, si disse in modo non tanto convincente. Non aveva voglia di alzarsi. Si sarebbe finta malata così da non dover accompagnare con la manina Fabian fino al portellone dell'aereo che l'avrebbe portato in India.
Sprofondò la faccia nel cuscino e cominciò a chiedersi che ore fossero, perché già aveva cominciato a pensare a Jeffrey. Sperava ancora che per lo meno fosse tornato a casa... Voleva vederlo. Voleva tanto vederlo. Quasi valeva la pena di uscire dal letto e andarlo a trovare... Certo, avrebbe dovuto fare tanta attenzione a non farsi sgamare.
Scostò la trapunta e faticosamente si mise a sedere sbadigliando. Si infilò i jeans, una maglietta attillata nera a cui successivamente avrebbe abbinato una giacchetta blu, tanto per essere più elegante. Andò a lavarsi la faccia e a truccarsi. Uscì dalla camera a passo felpato per non svegliare suo padre, che nonostante l'orario fuori dal normale continuava a dormire profondamente. Scese dalle scale, uscì dalla porta e invocò tutti i Santi del Paradiso affinché Max non abbaiasse, rendendo tutti i suoi sforzi per essere invisibile futili. Con eccessiva cautela fuoriuscì la macchina dall'improvvisato garage (4 pali e una tettoia di legno), come se portasse un carico di lingotti d'oro rubati. Imprecò al fastidioso e a dir poco silenzioso rumore del cancello che si apriva e poi fuggì verso casa di Jeffrey.

Appena arrivò, non poté ignorare che il cancello fosse già aperto come ad attenderla. Entrò con una certa prudenza, guardandosi continuamente attorno. La porta del salone al piano terra era aperta. Non sapeva cosa aspettarsi da quei segnali, ma entrò senza fare troppi complimenti. Non un tratto di più dall'uscio, vide la signora Mary piangere disperatamente e a quel punto temette il peggio.
- Signora, cosa è successo?!-, si accorse di lei solo in quel momento e si asciugò con le mani il viso.
- Oh... Jeffrey... Io...-, cominciò a balbettare tra una lacrima e l'altra. Carley non amava proprio stare sulle spine.
- Cosa è successo a Jeffrey?!-, alzò inconsapevolmente il tono della voce in balia del nervosismo da telenovela.
- Lo hanno... arrestato...-, riuscì a dire con un filo di voce la signora, facendo sbiancare Carley istantaneamente.
- Come arrestato?! Perché?!-, la donna non sembrava sorpresa del suo interesse e in un momento di ripresa le passò un biglietto.
- Mio nipote sapeva che saresti venuta a cercarlo...-, si limitò a dire per poi riprendere a piangere più forte di prima.
Ah, era così prevedibile, si domandò con un pizzico di orgoglio? Aprì il biglietto enigmatico.
"Ti spiegherò tutto...", era l'unica cosa che vi era scritta... sicuramente in una tale fretta che non pareva essere neanche la scrittura di Jeffrey. In quel preciso istante che era riuscita a decifrare i geroglifici, le squillò il cellulare.
Era un numero non salvato. Si posizionò sull'uscio e rispose. Le sembrava tanto di essere in uno di quei thriller polizieschi e sperò non fosse di quelli con Bruce Willis per la troppa azione che, se non fosse morta per le tante bombe o granate, le avrebbe procurato un bell'infarto.
- Ciao Carley. Non ho tanto tempo per darti spiegazioni adesso al telefono, ma ho bisogno di te. Per favore, vieni presto alla centrale di polizia in città. L'orario delle visite dovrebbe bastarci per parlare.-, la voce di Jeffrey la fece sobbalzare.
- Che cazzo succede?! Qua tua nonna piange disperata! Perché sei stato arrestato? Cosa è successo?!-, le uscirono di bocca le domande senza accorgersene.
- Ti ho appena detto che adesso non posso spiegarti al telefono. Vieni e ti dirò tutto ciò che vuoi sapere, ma fai presto.-, era incredibile come potesse mantenere quel tono calmo e asciutto in una situazione così allarmante. Riusciva sempre a sorprenderla.
- Sto arrivando, ma lascio tua nonna da tua zia Noelle...-
- Sì. Ti ringrazio. A tra poco.-
- A tra poco!-
Cazzo, pensò, che situazione di merda! Con tutta la gentilezza possibile scaricò la signora Mary da Noelle e scappò senza dare troppe spiegazioni alla centrale di polizia. Ripensò alle parole di Jeffrey e le fece eco in testa la frase "ho bisogno di te". Era così tanto importante per lui? Oltre a dire che si era ricordato il suo numero a memoria per poterla chiamare dalla centrale. Quant'era dolce...

Arrivò puntualmente all'inizio dell'orario delle visite. Due omaccioni le portarono Jeffrey in manette seduto a un tavolo argentato di fronte a lei. Non si era neanche seduta di quanto fosse scioccata.
- Ti prego. Siediti.-, la invitò, cercando di indicare la sedia davanti a sé.
- Come stai?-, le chiese gentilmente, appena si sedette.
- Bene...-
- Tuo padre?-
- Bene anche lui...-
- Il lavoro?-, cominciò a stizzirsi per come volesse evitare l'argomento o non arrivarci direttamente.
- Basta, Jeffrey... Dimmi perché ti hanno arrestato...-, non riuscì a nascondere un minimo di timore nella voce.
Si mise più comodo sulla sedia già non confortevole di suo e sembrò cercare le parole più giuste per non turbarla.
- Qualcuno mi ha... incastrato... Sono stato accusato di un omicidio che non ho commesso. Come arma del delitto hanno trovato il mio coltellino svizzero, che solitamente uso per lavorare in giardino. Ancora si ostinano a non raccontarmi come si sono svolti i fatti o chi avrei ucciso. Danno già per scontato che lo sappia.-, serrò la mascella.
Carley rimase letteralmente sbigottita davanti le rivelazioni.
- Ti servirebbe un buon avvocato...-
- Mi serviresti tu.-, quelle parole apparentemente buttate lì per lì le scossero il cuore per l'emozione, ma la spaventarono anche.
- Cosa vorresti dire con questo?-, si sforzò di capire le sue intenzioni guardandolo negli occhi, ma li incontrò glaciali.
- Mi ricordo che hai fatto per circa un anno l'avvocatessa per cause perse, riguardanti gli immigrati. So che la mia è una pretesa assolutamente assurda, ma sei l'unica persona di cui mi fido e... sei l'unica persona a cui affiderei la mia vita.-, il tutto era molto romantico ed anche se lui continuava a voler mantenere un certo contegno, cominciava a lasciarsi prendere dall'amore perennemente provato per lei. Carley, però, nonostante fosse molto ma molto colpita dalle forti parole di Jeffrey, continuò a provare una certa inquietudine. Avanti, c'era un'arma del delitto! Una prova fondata! E chi era lei per far cambiare idea a una schiera di giudici? Forse aveva ansia da prestazione... Forse credeva di non farcela... o più semplicemente, forse non credeva a lui... D'altronde, si accorse che il nuovo lui non lo conosceva così a fondo... Era più diverso... Sicuramente più capace di uccidere...
- Jeffrey... ma è tutto diverso... Io non posso farlo... Oltre a dire che non sei un immigrato! Non hai bisogno di asilo...-, abbassò gli occhi per non incontrare i suoi, ma comunque si sentì trapassare da essi.
Il suo bel Marine rimase in silenzio metodico, come se cercasse di ripercorrere il filo dei suoi pensieri.
- Non mi credi.-, disse infine flemmatico. Sentì di aver creato una crepa nel suo cuore.
- È questa la verità. Non mi credi. Non credi che io sia innocente.-, cercò di ribattergli, ma i suoi occhi delusi e privi di speranza le fecero cambiare idea.
- Allora, se è così, non voglio proprio trovarmi alcun avvocato. Perché se anche riuscisse a provare la mia innocenza, non riuscirei a vivere, sapendo che non mi credi.-, le parole la fulminarono in pieno, mentre che i suoi occhi la facevano sprofondare nell'abisso dell'incertezza. Lo aveva condannato a morte, praticamente.
A quel punto, un rumore sordo imperò nella stanza e i due omaccioni di prima vennero per ritirare Jeffrey.
- Grazie di essere venuta.-, si limitò a dire, accennando un sorriso spento, come a dirle "addio".
- Jeffrey, fatti aiutare da qualcun altro! Fai qualcosa!-, Jeffrey non la sentiva già più e Carley sapeva perfettamente che le sue parole fossero andate completamente a vuoto.

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