25. Sogni e risvegli.

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La notte scorreva sempre troppo velocemente, anzi non scorreva affatto senza almeno un'interruzione durante il sonno ristoratore che chiunque avrebbe dovuto rispettare.
- Jeffrey! Richiamo notturno! Forza!-, lo scosse Jonathan, levando il velo del suo sonno già leggero di natura.
- Di nuovo?-
- Pensano ci sia una bomba all'ospedale militare! Vogliono che andiamo a controllare.-. Faceva sempre troppo freddo a Mosca. Era una città che non veniva colpita da un solo raggio di Sole, se non uno sporadico, disperso nei cieli coperti della Russia. Alzarsi alle 3:00 di notte sarebbe equivalso ad un suicidio, artisticamente chiamato "ipotermia", ma Jeffrey non aveva alcuna intenzione di abbandonare qualcuno nel momento del bisogno o rifiutare di provare a dare una mano.
Si diressero con i mitra in spalla verso il posto dimenticato da Dio, in cui vi erano rimaste solo un paio di infermiere.
Una di loro ammiccò a Jeffrey, ma la ignorò, nonostante somigliasse tanto a Carley. Prese la foto dalla tasca e sorrise nel vederla felice. Vi erano volte in cui si chiedeva se lo fosse ancora. Si ripeteva che se fosse sopravvissuto, avrebbe fatto di tutto per renderla felice come in quella foto, perché era come se da quel sorriso dipendesse la vita dell'intero universo... O perlomeno del suo universo.
- Ma mi stai ascoltando?-, gli domandò Jonathan, controllando dietro una porta.
- Scusa. Mi sono distratto. Cosa hai detto?-, l'amico lo guardò diffidente, ma poi capì tutto vedendo la foto.
- Ti avevo chiesto di controllare l'altro corridoio, ma non importa... A volte penso che dovresti smetterla con questa Carley. Non puoi mai sapere com'è adesso. E se non fosse più la ragazza di cui ti sei innamorato?-, Jeffrey scosse la testa, accennando ciò che si ricordava fosse un sorriso.
- Credimi. Ciò di cui mi sono innamorato non può mai cambiare. Perché è lei in ogni sfaccettatura. Perché ogni suo difetto lo amo. Ogni suo difetto la rende perfetta. Non riuscirei a non amarla, neanche se diventasse la persona peggiore che si possa mai incontrare.-, percepì un tonfo sordo e fece cenno all'amico di stare in silenzio, guardando il punto in cui aveva sentito il rumore. Mise mano all'arma e camminò rasente alla parete, seguito da Jonathan. Guardò oltre l'angolo e sussurrò all'amico "Via libera". Buttarono giù una porta sospetta, ma vi erano solo un paio di vecchi piumoni termici.
- Ma che ca...!-, anticipò Jonathan, per poi ricevere un pugno dritto in faccia.
Jeffrey si distanziò dall'amico, per non essere colpito a sua volta. Prese la torcia e abbagliò l'aggressore. Era calvo, pallido, con un lungo cappotto nero. Gli sputò qualche parola in russo. Si buttò addosso a lui come una tigre con la propria preda, sbattendolo con forza al muro logorato dal tempo. Jeffrey cercò di allontanarlo, sentendo colargli il sangue su una tempia, ma incontrò una forte resistenza.
Per la miseria, non poteva morire. Non poteva. Gli diede un calcio nel diaframma che bastò per liberarlo. Prese la pistola dalla tasca dei pantaloni e gliela puntò contro. Lo riconobbe. Era uno dei compagni della sua fazione militare, sparito qualche giorno prima in missione. A quel punto, capì che aveva voluto premeditatamente sparire.

- Eto slishkom pozdno! Allakh vsegda budet bol'shim!- (Ormai è troppo tardi! Allah sarà sempre grande!), esclamò il russo, beccandosi una pedata in faccia da Jeffrey

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- Eto slishkom pozdno! Allakh vsegda budet bol'shim!- (Ormai è troppo tardi! Allah sarà sempre grande!), esclamò il russo, beccandosi una pedata in faccia da Jeffrey.
Sapeva cosa volevano dire quelle parole, almeno per la maggior parte dei casi. Una bomba sarebbe esplosa e nessuno poteva impedirlo.
Prese Jonathan, sorreggendolo con un braccio. Lo trascinò con tutta la forza che possedeva nelle gambe fuori dalla stanza. Gridò di uscire immediatamente alle poche infermiere che vi erano. Arrivò all'uscio e, non ebbe neanche il tempo di voltarsi indietro, che fu spinto dalla forza repulsiva creatasi dall'esplosione della bomba. Sentì il volto ferirsi dalle mille schegge scagliate dall'edificio in frantumi. Perse la presa su Jonathan. Ruzzolò a terra per un paio di metri, ispirando i fumi nocivi e sporcandosi la divisa. Sentì il suo mitra spaccarsi con l'onda d'urto. Quando finì di rotolare a terra, ebbe solo la forza di voltare il viso a guardare l'orrendo spettacolo che non era riuscito ad impedire. Si sentì impotente. A volte, sì, accadono certe cose nella vita che nessuno può evitare. Forse neanche chi potrebbe. Socchiuse gli occhi e l'ultima cosa che vide fu una scarpa sfiorargli il volto, prima di svenire tramortito.

Aprì gli occhi con il fiatone. I soliti incubi. Sapeva di aver già visto quel russo, ma non ricordava dove. Si guardò intorno spaesato. Non riusciva a capire dove fosse.
- Jeffrey! Tranquillo! Stai giù! Stai giù! Non ti muovere...-, la voce di Carley lo tranquillizzò. Scese col busto, riappoggiandosi sul divano. Si accorse che gli stesse stringendo la mano. Sforzò gli occhi. La vedeva sfocata.
- Calmati... Sono qui...-, gli mormorò, accarezzandogli i capelli. La vista cominciò a schiarirsi. Sentì qualcosa stringergli il petto in modo quasi insopportabile. Vide un bendaggio attorcigliato malamente opprimerlo e lo allentò.
Incontrò gli occhi sorpresi di Carley.
- Non sai quanto mi hai fatto preoccupare...-, sospirò lei.
- Scusami. Ti ho disturbato abbastanza per oggi.-, si limitò a dire, calmando il respiro corto e accennando l'intenzione di alzarsi e andarsene.
- No! Tu non ti muovi!-, esclamò lei, spingendolo per le spalle a sdraiarsi nuovamente.
- Oltre a dire che ho bisogno di spiegazioni e non te ne vai così, hai capito?! E se ci sono altri malviventi fuori? E se tua nonna ti vede così?! No, no, signorino! Tu resti anche a dormire qui stanotte! Non mi interessa!-, mise mano al cellulare, già digitando il numero della zia Noelle.
- Carley, per piacere. C'è tuo padre, tuo fratello, Fabian. Non voglio intromettermi nel tuo tenore di vita.-, sembrò stizzita. Arricciò il naso.
- Mio padre è via da amici di famiglia, mio fratello è disperso con la fidanzata e Fabian è in India... Ho bisogno di compagnia, anzi...-, lo informò, nascondendosi il viso tra le mani per la stanchezza.
- Carley.-, la guardò serio, ma lei era determinata a fare di testa sua. Era così quando era convinta che ciò che stesse facendo fosse giusto.

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