41. Fine dei giochi.

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10 anni dopo...

Fu scosso da un tumulto. Si svegliò col fiatone. Era svenuto sotto le macerie di un edificio. Calmò il respiro. Si guardò attorno. Un uomo con il cranio spaccato era a pochi metri da lui. Nessuno sembrava vivo. Nessuno sembrava capace di aiutarlo. Doveva farcela da solo. Quella missione era troppo importante, doveva uscirne vivo.
Quando il sergente lo aveva chiamato 3 giorni prima, era subito partito. Era tornato in servizio. Gli venivano assegnati degli incarichi, quando era necessario, che doveva portare a compimento, ma quello in cui ora era coinvolto diventava un fatto troppo personale.
Una pietra di medie dimensioni gli bloccava il braccio. Provò con l'altra mano ad allontanarlo. Poi portò le gambe al torace e spinse con tutte le sue forze un palo di legno che non gli permetteva di respirare normalmente. Si alzò a fatica tossendo la polvere elevatesi dalle macerie. Era un miracolo che non avrebbe sprecato l'essere ancora vivo. Calcolò i danni. Solo qualche escoriazione sul viso, un taglio lungo 5 dita sull'avambraccio e un po' di asfissia per i fumi cancerogeni. Gli era andata fin troppo bene. La sua divisa era macchiata di sangue non suo. Cercò di ricordarsi cosa fosse avvenuto prima di svenire. Aveva protetto un signore e suo nipote, portandoli fuori casa, poi un kamikaze si era fatto esplodere nelle vicinanze, demolendo tutto. Passò accanto un vecchio compagno deceduto ai suoi piedi, poi attentamente si fece strada per andare fuori di lì. Camminava in modo stentato, ma doveva avanzare velocemente. Inciampò nella sabbia. Sputò del sangue, poi si rialzò. Non c'era tempo da perdere. Sentì lo scatto di un grilletto dietro di sé. Sospirò, voltandosi lentamente con le mani sulla testa. Due uomini gli puntavano dei Kalashnikov. Jeffrey sapeva tutto di quegli AK-47, dei fucili di assalto sviluppati nell'Unione Sovietica da un tale di nome Michail Timofeevič Kalašhnikov. Quelli standard possedevano 30 colpi in canna, ma i fucili che invece loro stavano maneggiando erano delle varianti da 20 colpi, arrivati già ad esaurimento. Mancava solo un colpo per poi doverli ricaricare.
Si prese di coraggio e rotolò dietro una macchina. I fessi spararono i loro ultimi colpi, accorgendosi solo in quel momento che avrebbero avuto bisogno di nuovi proiettili. Ne approfittò, prese il suo mitra allacciato dietro la schiena e ne uccise uno, sparandogli dritto in testa. L'altro arrivò a caricare il fucile e gli sparò addosso, ferendogli superficialmente una spalla.
Tornò a riparo, aspettando che l'uomo lo affiancasse. Quando fu accanto a lui, gli diede un calcio alle mani, facendo volare il Kalashnikov. Lo scontro divenne un corpo a corpo. Parò i pugni dell'altro, lo prese per il polso per fargli stirare il braccio e romperglielo, fratturandogli la troclea. Poi gli avvolse un braccio attorno al collo e con l'avambraccio fece pressione contro la carotide.
- Gde eto?!-, (Dov'è?!) gli gridò.
- Vy mozhete ubit' menya, ya nikogda ne skazu!-, (Puoi uccidermi, non te lo dirò mai!). Non gli piaceva proprio trattare con i russi. Gli ruppe il femore, affondando il ginocchio. L'uomo urlò di dolore.
- Ya mogu slomat' kosti odin za drugim, a ne ubivat'.-, (Posso romperti le ossa una ad una, invece che ucciderti.).
L'uomo imprecò, poi si rassegnò a confessare. Si trovava in un bunker sotterraneo nel deserto del Thar, al confine col fiume Sutlej. Non poteva arrivarci a piedi. Ruppe il collo al russo. Non poteva rischiare che lo avvertisse.
Prese il walkie-talkie di un compagno ucciso.
- Colonnello Bouschi, tenente Clarence. Jeffrey Shaw, prima linea della fanteria in India. So dov'è il Mag-nus o, come lo chiamano qui, il Golova. Ho bisogno di rinforzi e un mezzo necessariamente. Il più in fretta possibile.-, ripeté il messaggio. Puntualizzò la sua posizione. Il colonnello gli rispose dopo qualche minuto. Il mezzo sarebbe arrivato immediatamente, guidato da un certo Raphael, mentre i rinforzi lo avrebbero raggiunto sul posto.
Attese pazientemente, cercando di controllare l'adrenalina in corpo. Restò in allerta, fino a quando un fuoristrada arrivò alle sue spalle. Si alzò, controllando che non vi fosse nessuno.
- Raphael.-, il ragazzo abbronzato alla guida del fuoristrada non rispose. Dopo un po' gli fece un cenno di assenzio. Salì sulla vettura con il mitra in spalla. Procedettero per diversi chilometri nel deserto.
Fu allora che rifletté sulla sua vita, su come fosse cambiata dopo dieci anni. Usciva dal peggiore periodo della sua esistenza. Aveva riabbracciato la carriera militare. Aveva scoperto che sua nonna aveva l'Alzhaimer. L'aveva fatta ospitare nella migliore casa di riposo della città. Aveva frequentato altre donne senza impegno, né promesse. Non l'aveva più rivista. Ma era così che le cose dovevano andare. O almeno, questo era ciò che si ripeteva per convincersi che avesse fatto la scelta giusta, che non avesse nulla da rimpiangere. Erano destinati ad amarsi da lontano, come chi corre da seduto o chi grida nel silenzio. Così assurdo e insensato da avere una logica crudelmente razionale. Teneva ancora la sua foto nel taschino della divisa. Non l'avrebbe mai dimenticata. Ed era certo che si sarebbero di nuovo rincontrati. Magari in un altro universo in cui finalmente sarebbero stati liberi dalle manette delle convenzioni sociali. Magari tra le stelle. E non avrebbe desiderato altro se non perdersi nelle profondità dei suoi occhi in eterno. Sarebbe morto solo quando lei sarebbe stata per sempre bene e al sicuro. Per sempre felice. Per sempre dimenticandosi di se stesso.
Guardò l'immensità della sabbia e lo travolse un senso di profonda angoscia. Poi sentì un rumore. Un lieve spostamento d'aria, quasi impercettibile, ma aveva imparato a riconoscerlo in modo infallibile. Guardò il ragazzo prendere lentamente in mano una pistola carica. Lo colpì con un pugno alla tempia, poi con il braccio sinistro tentò di soffocarlo in corsa, ma era più abile di quello che sembrava. Ricevette una gomitata lancinante al mento. Fece di tutto per non perdere i sensi, poi lo spintonò contro lo sportello, che si aprì facendoli cadere tra la sabbia.
Lo prese dalla nuca e gli sbatté la faccia contro il parabrezza. Schivò inaspettatamente un proiettile a brucia pelo. Lo bloccò con le gambe attorno il suo collo. Afferrò la pistola e gli sparò in pieno petto. Il ragazzo agonizzò subito. Si alzò deciso, cercando di non avere rimorso. Era sempre difficile uccidere i ragazzi, ma era necessario per sopravvivere. Uno dei due doveva comunque uccidere l'altro. Sussurrò un "Mi dispiace", poi salì sulla vettura senza voltarsi indietro.
Avevano intercettato i loro messaggi. Buttò il walkie-talkie via. Non poteva più contattare nessuno. Meglio pensare che fosse morto. A occhio e croce sapeva dove si trovasse. Il fiume non era tanto lontano.

Il corso della fenice...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora