COLLOQUI CON I GENITORI

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DAL CAPITOLO PRECEDENTE: Di nuovo la sua lingua preme contro le mie labbra, aprendole, esplorandole. Leccandole.

"Te l'ho detto che parli troppo", sorride contro le mie labbra.

E per un istante, seppur vada contro tutte le leggi logiche e temporali, sento effettivamente di amarlo.

POV DAVID

Mi stringe.

Mi stringe così forte che...

Dio, mi toglie il fiato. Deglutisco un paio di volte, gonfiando il petto alla ricerca di ossigeno, annaspando per sopravvivere alla sua stretta, ma niente. Per quanto mi dimeni resta sempre lì, agguantata al mio collo.

Cazzo... questa è una piovra, altro che cravatta!

"Ehi, amico".

Strabuzzo gli occhi, inorridito. "Che cazzo ci fai qui?".

Lucas si sistema dietro la tavolata dell'aula magna e apre la ventiquattrore in pelle nera, estraendo delle cartelline colorate. Ad ogni colore corrisponde il nome di uno studente.

"Colloqui con i genitori, come te", risponde in tono tombale.

Be', almeno non sono il solo che si sta cagando addosso; parlare con i genitori degli studenti è peggio che parlare con i propri. Di solito i colloqui iniziano con una stretta di mano e qualche frase di circostanza sul tempo o sui parcheggi sempre occupati davanti al liceo. E fino a qui di solito non riscontro problemi.

D'accordo non capisco la metà di quello che certe madri mi dicono, anche perché i discorsi più in voga sono prettamente femminili , ma annuendo un paio di volte con faccia seria e ricordando loro che fuori dall'aula magna ci sono altri genitori in fila, riesco quasi sempre a far morire i discorsi futili sul nascere.

Si passa quindi a definire i punti deboli e quelli di forza degli studenti, sottolineando le peculiarità della condotta e spiegando parte del programma ministeriale per coinvolgere le famiglie.

Solo che non va proprio così!

Tanto per cominciare, quando i genitori arrivano hanno sempre quella faccia incazzata che ti sfida a parlare male del proprio figlio, oppure hanno così tanta fretta di accusarti di qualcosa che nemmeno si siedono e cominciano a urlare quando ancora sono in corridoio.

Al ché va sempre a finire che non riesco a dire nemmeno un quarto di quello che mi ero proposto.

Una volta ho provato a convincere il Preside a farci ottenere un compenso maggiore per questi colloqui, giustificando la spesa come "indennità sul lavoro" ma ha risposto che se sono in grado di sopravvivere a mattinate intere in mezzo ad adolescenti, sicuramente saprò cavarmela anche con i genitori. E sarebbe anche vero se fossero persone adulte e consapevoli.

Invece l'unica consapevolezza che hanno è che il loro figlio è un martire mentre il professore è un negriero incompetente e l'unica maturità che hanno instillato nel loro cervelli da tuttologi è il codice civile aggiornato della Corte di Cassazione.

Per farvi un esempio, l'ultimo colloquio effettuato mi è sembrato più che altro un corso base di legislatura:

"Salve Signora, Connemann".

"Professore, ai sensi dell'articolo 183, comma 1, le sarei grata se volesse evitare di dire il mio cognome ad alta voce. Sa... la privacy".

"... suo figlio purtroppo ha carenze nella mia materia...".

"Articolo 595 del c.c.: la pregherei di non diffamare mio figlio".

"... perciò stavo valutando l'ipotesi di dargli qualche ripetizione extra...".

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