RISVEGLIO

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"Ciò che è più amaro del dolore di oggi è il ricordo della gioia di ieri"
K. Gibran

Sentii dei rumori bizzarri: dei bip ripetuti ad intervalli costanti.
Successivamente iniziai ad avvertire un fastidioso odore di disinfettante farsi strada nelle mie narici.
Avvertii di trovarmi su qualcosa di piuttosto morbido ma di indossare un indumento ruvido: un camice, forse.
Infine riuscii ad aprire gli occhi.

Ero in una camera d'ospedale.
Perché mi trovavo lì?
Le pareti erano dipinte di un bianco anonimo ed io ero attaccata ad una miriade di tubicini fastidiosi che sembravano essere infilati all'interno del mio corpo e collegarmi ad altrettanti macchinari.
Scorsi qualche mazzo di fiori e poi un ragazzo seduto accanto al mio letto che, non appena si accorse che avevo aperto gli occhi, corse a chiamare l'infermiera.

<<Infermiera!>> urlò, costringendomi quasi a portare le mani alle orecchie <<Infermiera, si è svegliata>>

<<Non urli in questo modo>> lo rimproverò infastidita la tozza donna << Potrebbe spaventarla e disturbare gli altri pazienti>>

L'infermiera si avvicinò a me con fare gentile.

<<Dimmi cara, come ti senti?>>

<<Come se mi avessero appena rotto qualcosa in testa>> risposi lentamente con una voce stranamente rauca.

Mi era difficile dire ad alta voce quello che pensavo, era come se il collegamento tra cervello e bocca fosse estremamente lento.

<<Hai avuto un forte calo di pressione >> Mi spiegò con una vocina eccessivamente dolce << Hai sbattuto la testa e questo ha provocato un leggero trauma cranico>>

<<Ma...>>

<<I tuoi bambini stanno bene>> mi assicurò facendomi tirare un respiro di sollievo.

Subito dopo entrò nella stanza un dottore che mi fece alcune stupide domande del tipo: come ti chiami, quanti anni hai, in che anno siamo...

<<Bene>> sentenziò infine <<Se tutto procede come previsto conto di r
dimetterti entro questa sera>>

Quando l'uomo e la donna uscirono dalla stanza incrociai per la prima volta lo sguardo di Daniel, che fino a quel momento si era tenuto il volto tra le mani.

<<Come ti senti?>> Mi domandò visibilmente provato.

<<Sono stata meglio>> piano piano riuscivo a riprendere possesso di me stessa anche se i miei riflessi rimanevano comunque molto lenti.

Dal momento che mi sentivo la bocca impastata gli chiesi di vuotarmi un sorso d'acqua.

<<Ricordo quello che mi hai detto prima che svenissi>> dissi per evitare che ci girassimo intorno in maniera piuttosto imbarazzante <<Ma non voglio più parlarne, voglio che andiamo avanti come se non fosse successo niente>>

<<Certamente >> approvò lui sollevato.

<<Non approvo il modo in cui ti sei comportato>> precisai <<Ma sei l'unica persona che è stata totalmente onesta con me... l'unica di cui mi possa veramente fidare>>

Dan mi abbracciò dolcemente facendo attenzione a tutti i fili che mo tenevano attaccata ai monitor.
Lui stava cambiando: ogni giorno era sempre più dolce, si impegnava per avere successo nella vita e soprattutto teneva a me e mi amava.

<<Da oggi penseremo solo al nostro futuro>>

<<Sì, ma soprattutto al nostro presente insieme>>

Nella stanza poco dopo entrarono quelli che avevo sempre considerato come i miei genitori; ma potevo ancora riporre piena fiducia in loro?

<<Oh, tesoro!>> esclamò Margareth avvicinandosi al mio letto <<Siamo stati così in pensiero per te>>

<<Adesso stò meglio>> dissi freddamente.

Notai che un'ombra oscurò il volto di mia madre.

<<Andrò a vivere a casa di Dan>>

<<Perché?!>>quasi urlò Brian esterrefatto.

<<Perché credo che sia meglio così>>

Non potevo più abitare con persone che mi avevano fatta crescere con la presenza costante di Steven Miller senza mai rivelarmi la verità.

Brian uscì dalla mia camera d'ospedale sbattendo la porta mentre Margareth tentava di calmarlo.

<<Credo che sia meglio che vada a parlare con lui>> sospirò Daniel.

9 MESI PER CRESCEREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora