Capitolo 1.

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«Perché hai scelto di fare questo mestiere?»
«Perché devi rompermi le palle?» sbotto alzandomi e raggiungendo la sala d'attesa per prelevare ulteriore inchiostro.

Sono le dieci del mattino e son già stanco di lavorare. Per di più se si tratta di dover tatuare adolescenti, coloro i quali appena provi ad accennare una punta d'ago sulla loro pelle indietreggiano, impauriti.

«Non volevo renderti nervoso» si scusa il piccolo marmocchio mentre rientro in sala. Ha riappoggiato il braccio, probabilmente l'attesa deve avergli diminuito la paura.
«Se ritrai nuovamente il braccio, mi rifiuto di tatuarti» preciso, sbuffando ed accomodandomi nuovamente alla mia postazione.
Apro il primo cassetto situato in basso a destra e comincio a prelevare tutto l'occorrente.

«Allora, cosa vuoi che ti tatui?» domando, guardando più volte l'orologio. È più di un quarto d'ora che è qui e non ha ancora aperto bocca, eccetto per chiedere informazioni private e dannatamente personali.
«Mi piacerebbe avere un Malin all'interno del braccio»
Però. Mica male.

«Il Malin è un simbolo svedese, lo sapevi?» gli chiedo a mia volta in maniera scherzosa, esterrefatto dalla sua richiesta.
«Certo, è simbolo di coraggio dinanzi ad un fallimento. E direi che questo, possa rappresentarmi a pieno come persona in ogni ambito» comincia a spiegarmi, sorridendo.
«Oh, scusami, non trovo il motivo per doverne discuterne con te»

E ancora una volta, la sua risposta mi spiazza.
Non immaginavo fosse così impulsivo, il ragazzo. O magari, è la presenza della sua fidanzatina a renderlo così gasato.
L'adolescenza è un periodo che va vissuto e non capito. Non penso di poterlo più ricordare, però.

«Dovremmo pur ammazzare il tempo, in qualche modo» ironizzo, inumidendo la parte interessata del braccio ed eliminando con un rasoio usa e getta i peli in eccesso.
«Si, probabilmente hai ragione. Cerca di causarmi poco dolore, per favore. È il primo che faccio»
«Guarda marmocchio, me l'hanno detto così tante volte che forse dovrei cominciare sul serio a farlo» sorrido, sollevando un angolo della bocca.

Lo scruto mentre annuisce, incapace di pronunciare altro, così procedo con il mio operato, aggiungendo una piccola quantità di vaselina e poggiandola sulla parte interessata.
Non c'è più tempo da perdere, direi che ne abbiamo già perso abbastanza.

«Non è per spaventarti, ma sono davvero sul punto di iniziare. Quindi se ti va, sarebbe meglio che raccontassi qualcosa, giusto per farti distrarre e sentir meno il rumore fastidioso della macchinetta», gli chiedo.

Sono una persona molto introversa, questo è vero. Tendo sempre a parlar poco e tenere tutto per me.
Ma quando lavoro, è diverso. È come se avessi creato un nuovo mondo, un mondo in grado di salvarmi da tutto ciò che fino ad oggi mi ha sempre distrutto.
Ecco da dove nasce la necessità di tatuarsi. Dal voler raccontare di se stessi senza pronunciare parola, ma soltanto incidendolo nella propria pelle.

Penso che sia una delle soddisfazioni più belle che possano esserci.
Ed è giusto che gli altri, come me, assaggino e tocchino con mano questo mondo che sembra non aver via d'uscita.

«Ti facevo più malvagio, sai?» ridacchia, mentre porge l'altra mano verso la sua fidanzata, facendola avvicinare.
Ah, quanto è disgustoso l'amore.
«Io sono malvagio, non sottovalutarmi» lo guardo dritto negli occhi, non mostrando un cenno di sarcasmo nelle mie parole.

Riesco a vedere le sue labbra cambiare in pochi secondi: da un sorriso ampio e ben definito a delle labbra serrate. Se dessi spazio alla fantasia, lo sentirei anche digrignare i denti.

«Scherzo, suvvia» sospiro infine, vedendolo alquanto terrorizzato.

L'idea di spaventare, mi eccita. Sono sempre stato io quello terrorizzato ed escluso dagli altri ed è giusto che anche altre persone assaggino e tocchino con mano in minima parte, ciò che ho sempre dovuto sopportare io.
Da tutta la vita.

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