Capitolo 9.

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Scusami

«Non preoccuparti, capirò se preferirai lasciarmi andare» Ed Sheeran.

Caleb
Al mio arrivo in studio, non c'è soltanto Diana, la mia segretaria, ad aspettarmi.
«A cosa devo questa intrusione?» domando, sbottonandomi appena il cappotto e posizionandolo sul divano in pelle bianco posto lateralmente alla porta d'entrata.

«Buongiorno», precisa Alison, seccata dal mio tono brusco mattutino.
Le rivolgo un piccolo sorriso, dirigendomi verso la scrivania di Diana e prelevando dal cassetto l'agenda.

«Perché sei qui?» le domando, vedendola tamburellare le dita sul ginocchio, osservando ripetutamente l'entrata, come se stesse aspettando qualcuno.
«Aspetti visite?», riprendo.

Annuisce, accavallando le gambe e mordendosi le unghia, guardandomi.
«Jessica», risponde, infine.

Mi avvicino a lei, sedendomi al suo fianco, scacciando la rivista che era posizionata sul bracciolo del divano.
«Jess?», chiedo.
Annuisce ancora, guardandomi negli occhi. «Vorrebbe tatuarsi»
«Da me?» domando, rimanendo esterrefatto.
«Sarebbe folle?»

«Perché sei così nervosa, Alison? Vorresti tatuarla tu?» ironizzo, inarcando un sopracciglio ed accennando un sorriso lieve.
«Non sia mai» ribatte lei, ridendo.
«E perché sei qui?»

«Non lo so, a dire il vero. Mi ha detto di voler venire in mattinata per tatuarsi ed io, inconsciamente ed impulsivamente, son venuta» dichiara, portandosi una mano sulla fronte. «Sono così stupida», si dice.

Le scosto appena i capelli dal volto, guardandola negli occhi. «Perché mai dovresti essere stupida?»
«La gravidanza mi gioca questi scherzi, Caleb» comincia a spiegarmi, sorridendo e scacciando via qualche lacrima allo stesso tempo.

«Dov'è Richard?» le chiedo, sentendo la porta aprirsi e vedendo Jessica entrare.
«Buongiorno», dice lei.
La scruto attentamente: indossa un paio di semplici jeans neri, con degli strappi al ginocchio. La maglia color bianco sporco le cede alla perfezione, mostrando al punto giusto le sue curve ed accentuando il seno prosperoso.

«Interrotto qualcosa?», riprende lei.
Scuoto la testa, guardandola ancora, per poi posare lo sguardo verso Alison.
«Sarà meglio parlarne in un secondo momento», mi dice quest'ultima alzandosi e dirigendosi verso Diana, la mia segretaria.

Jess sembra non considerarmi particolarmente. Si dirige nel mio studio, posizionandosi sul lettino, senza che aggiungessi parola.
«Potevi anche aspettare che ti chiedessi di entrare» preciso io infine, entrando poco dopo di lei e chiudendo la porta.

La sento quasi imprecare, mentre alza gli occhi al cielo.
«Sono qui per farmi tatuare, non per avere un rapporto con te» ribatte, fulminandomi con lo sguardo.
Annuisco, dandole le spalle e prendendo i macchinari e l'inchiostro nero.

«Cosa vuoi che ti faccia?» chiedo, senza aggiungere altro, pauroso che vada via.
«Vorrei che mi tatuassi una piccola piuma, con poche penne che sembrano staccarsi»
La guardo, inarcando un sopracciglio e scansando appena i macchinari, avvicinandomi a lei.

«Cosa mi rappresenta?» le domando, avvicinandomi ulteriormente.
Si scosta, di poco. «Non penso possa riguardarti», mi ricorda lei.
Annuisco, riprendendo i macchinari ed accendendoli, continuando a guardarla.

«La smetti di fissarmi? Dio, sei inquietante» ribatte secca, facendo una linguaccia disgustata.
«Te la stacco quella lingua», preciso io, strizzando un occhio, vedendola sorridere ed abbassare lo sguardo.

«Mi spiace per l'altra mattina», le sento dire, non appena inumidisco il suo braccio. «Non volevo risultarti così crudele e spietata»
Sorrido, sentendola scusarsi per la prima volta. «Ma continui a non rispondere alla mia domanda», rispondo io.

Inarca un sopracciglio, guardandomi con aria smemorata. «Sarebbe?»
«Chi era quel bambino?», le rinfresco la memoria.
Vedo la sua mascella contrarsi appena ed il suo sguardo divagare dal mio. «Mio nipote», ribatte infine, con voce esile.
«Perché te ne occupi tu?», la domanda mi sorge spontanea.

«È figlio di mia sorella e adesso è in viaggio di nozze, ha deciso di sposarsi, lasciandomi il piccolo. Ti prego, basta domande» dichiara tutto d'un fiato, non facendomi comprendere alcune parole.
Annuisco, vedendola in soggezione e decido di non aggiungere altro.

«Aspetta» riprende lei, non appena l'ago le aveva quasi bucato la pelle. «Non sono più sicura di volerlo fare»
Rido, vedendola terrorizzata. «Andiamo bambina, non avrai mica paura di un ago», ironizzo.
«Smettila, idiota» ribatte nervosa, allontanando il braccio ogni qualvolta ci avvicino l'ago.

«D'accordo, piccola. Basta così. Lo faremo quando sarai più matura» riprendo io, stuzzicandola, facendola sentire infantile.
Mette il broncio, incrociando le braccia e guardandomi, unendo le sopracciglia.
«Non azzardarti a dire che non sono matura. Non sai nulla di me»

Annuisco, avvicinandomi a lei, inumidendomi le labbra.
«Questo comporta ad un pegno, però» le dico, guardandola dritta negli occhi, per poi posare lo sguardo sulle sue labbra carnose.
«No», sbotta subito lei. «Non ti bacerò se è ciò che stai pensando, Caleb. Preferirei seriamente farmi bucare la pelle»

Rido, sapendo che non lo farebbe mai sul serio. «Non voglio che mi baci»
«Ah» emette lei, sottovoce.
Mi avvicino ulteriormente, posando le mani sulle sue ginocchia e sentendo il suo respiro fondersi con il mio.
«Voglio che tu venga a cena da me, questa sera», la butto lì, di getto.

«Mi auguro tu stia scherzando» ridacchia lei, spalancando appena gli occhi.
Scuoto la testa, inumidendomi ancora le labbra.
«Perché dovrei?», aggiungo infine.
La vedo cercare di allontanarmi, scostando la testa.

«Scordatelo», risponde senza esitazione.
Annuisco, sorridendo. «Riprendiamo il tatuaggio?» comincio, riprendendo l'inchiostro. «Pronta a farti bucare e vedere del sangue?»

Scuote la testa ripetutamente, guardandomi con aria spaventata.
«Non risolverai tutto così, Caleb» dice lei, convinta di sé.
«D'accordo», rispondo io. «Rimandiamo il tatuaggio a stasera?» le chiedo, inarcando un sopracciglio.

«Che?»
«L'invito è sempre valido, bimba», le dico, posizionando al loro posto i macchinari ed avvicinandomi nuovamente a lei. «Cena, tatuaggio e me, in un colpo solo. Non è roba di tutti i giorni», le faccio notare, strizzando un occhio.

Impreca ed alza gli occhi al cielo, prima di darmi una risposta.
La vedo annuire, con lo sguardo chino.
«Si cosa, Jess?» le domando, capendo ciò che volesse dirmi, ma volendo sentirmelo dire.
«Ci sarò», dice sotto voce, in maniera quasi incomprensibile.

«Come? Non ho sentito bene, scusami» riprendo, mettendo una mano sull'orecchio, sorridendo.
«Ci sarò» ripetè lei, a voce ben alta, guardandomi dritta negli occhi.
Perfetto così.

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