Capitolo 13.

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                    Dove sei?

«Dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto: sorridere e piangere, rinascere e morire. Oppure fermarti e tremando dentro, come fosse l'ultimo» Charles Bukowski.

Al mio risveglio, Jess non è al mio fianco.
Non l'ho lasciata andare. Non questa notte.
Abbiamo parlato a lungo, ma non abbiamo fatto l'amore.

Non mi sentivo di forzarla. Era così fragile ed insicura di se stessa. Ed io non voglio che si senta così quando è al mio fianco.

Abbiamo parlato, discusso, gridato, gioito e sorriso fino a notte fonda. L'ho guardata fino a notte fonda. Quando si sentiva in imbarazzo, era suo solito mordersi il labbro e portarsi dietro una ciocca di capelli.

Quando si sentiva felice, era suo solito sorridere senza un motivo ben preciso e rifugiarsi nelle mie braccia, facendosi baciare la fronte.

Quando si sentiva insicura, era suo solito colpevolizzarsi e gridare, scacciando via qualche lacrima e arricciando il naso.

E quando si sentiva sola, era suo solito darmi un bacio.
Fino a quando non ha socchiuso appena gli occhi, addormentandosi sopra il mio petto, sentendo il battito accelerato del mio cuore quando mi è accanto.

Dio, che effetto mi fa.

Ma tutto quel che sembravamo aver chiarito e risolto questa notte, sembra esserselo portato via il vento. Proprio come lei.

Frettolosamente mi alzo, guardandomi allo specchio e sistemandomi la camicia leggermente sbottonata.
Scruto con la coda dell'occhio la stanza, controllando se ci fosse ancora qualcosa di suo.

«Non sono pazzo», dico tra me e me, sedendomi nuovamente sul letto ed abbracciando il suo cuscino, annusandolo. «Lei era con me, questa notte»

Mi arruffo i capelli, schiaffeggiandomi appena il volto, affinché mi svegliassi totalmente.
Afferro velocemente le scarpe e le indosso, balzando subito in piedi e dirigendomi nel piano di sotto.

«Richard» esclamo quasi gioioso nel vederlo in cucina, intento a mangiare un cornetto e sorseggiare del buon caffè caldo.

Mi scruta da capo a piedi, portandosi una mano alla testa. «Immagino tu debba dirmi qualcosa», mi dice. 

«Mi spiace di essere rimasto qui questa notte senza neanche avere avuto modo di avvisarti» mi scuso, scandendo bene ogni parola.
«Sappi che non è stata assolutamente una cosa programmata», continuo a spiegargli.

Si alza, raggiungendo il piano cottura ed afferrando il giornale, facendomi cenno di accomodarmi al suo fianco.
«Hai fame?» mi chiede.

Annuisco. «Dov'è Alison?» domando, afferrando al volo una fetta biscottata.
«Dal ginecologo» chiarisce, voltando una pagina del giornale.

Giocherello nervosamente con le dita, cercando di arrivare al dunque senza risultare ossessivo ed invadente. «Niente lavoro oggi?» divago, ancora.

Scuote la testa. «Entrerò più tardi», dice. «Hai intenzione di fermarti a lungo?»
«No», sbotto, rispondendo frettolosamente. «Non è mia intenzione» spiego.

Mi guarda, dandomi una pacca sulla spalla.
«È tutto okay, fratello» mi tranquillizza lui. «Soltanto la prossima volta avvisami quando occupi una stanza in compagnia di una bella donzella», strizza l'occhio.

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